Starve Acre: horror e folklore

Starve Acre: horror e folklore

Starve Acre è un horror molto “british”, che prende spunto dal folklore locale per raccontare una storia tragica in cui il male si rivela in modo subdolo e sottile, lontano dalla spettacolarità a volte eccessiva di molti romanzi statunitensi.

Non ancora tradotto in italiano, è il terzo romanzo di Andrew Michael Hurley, dopo Loney e Il giorno del diavolo. Chi ha letto la mia recensione de Il giorno del diavolo sa che ho adorato la scrittura di Hurely, l’ambientazione, la “leggerezza” della trama che lasciava all’atmosfera il compito di creare la tensione e l’inquietudine che si cercano in un horror.

Anche in quest’ultimo romanzo la scrittura è di ottimo livello e l’atmosfera la fa da padrona, ma purtroppo l’ambientazione più ristretta mi è risultata meno affascinante. Tutta la vicenda si sviluppa fra la casa dei Willoughby e l’appezzamento di terreno sterile al di la della strada, dove secoli prima cresceva un’enorme quercia di cui non rimane più traccia se non in alcune stampe antiche che Richard Willoughby trova dentro lo studio del padre morto folle alcuni anni prima.

La morte del figlio cinquenne dei Willoughby è un peso che grava su Richard e la moglie Juliette incapace di sopportare il dolore della perdita. Richard, un professore di storia antica in congedo sabbatico per riprendersi dal trauma e stare accanto alla moglie, si rifugia nel lavoro mettendosi alla ricerca di tracce dell’antica quercia, imbastendo uno scavo archeologico nell’area di terreno di fronte alla casa.

Juliette accetta, su consiglio di un amico, di invitare a casa una misteriosa signora, a suo dire in grado di mostrarle qualcosa che l’aiuterà ad accettare ciò che è accaduto. Richard, scettico e razionale, si oppone a qualsiasi intrusione di soprannaturale, ma accetta comunque la consulenza della donna, nella speranza che possa avere qualche influenza positiva sulla moglie.

La quieta razionalità del personaggio è il suo fatal flow, un pregio che diventa un difetto, in quanto gli impedisce di interpretare correttamente i segni di qualcosa di maligno che si sta risvegliando sotto i suoi occhi.

E qui purtroppo il vero fatal flow è della storia, non del personaggio, un vero buco della trama che rende molto meno godibile l’intera vicenda.


ALLERTA SPOILER

Richard, durante i suoi scavi alla ricerca delle radici della quercia, trova lo scheletro di una lepre, lo porta a casa e lo ricostruisce con cura. Nel giro di alcuni giorni lo scheletro si ricopre di tendini, nervi e muscoli per diventare in poco tempo una lepre intera, alla fine di nuovo viva. Purtroppo Richard Willoughby, nonostante la sua razionalità sembra accettare con troppa facilità l’incredibile evento a cui assiste:

The hare’s transformation had been unnatural but it had required no intellectual sacrifice, no faith, no imagination. It had occurred in this world of forms. For whatever reason it had happened, whatever it meant, it was real.

Richard Willoughby in Starve Acre di Andrew Michael Hurley

La trasformazione della lepre era stata innaturale ma non aveva richiesto alcun sacrificio intellettuale, nessuna fede, nessuna immaginazione. Era successo in questo mondo di forme. Per qualsiasi motivo fosse accaduto, qualunque cosa significasse, era reale.

traduzione mia

Nonostante questo si rifiuta di accettare tutto ciò che gli viene detto dalla moglie e da Gordon, l’amico che cerca di metterlo in guardia dal male strisciante che alberga nel terreno accanto alla casa.

Affermare che una lepre che resuscita sia un evento che non richiede alcuno sacrificio intellettuale, che lo si possa accettare semplicemente come dato di fatto, mentre non si possa accettare l’esistenza di uno spirito malvagio capace di influenzare gli uomini e le loro vite è una tesi molto tirata per i capelli. Certo la rinascita della lepre è una cosa a cui ha assistito con i suoi sensi, mentre credere nello spirito malvagio richiederebbe un atto di fede, ma un evento impossibile come quello dovrebbe spingere una persona razionale a rimettere in discussione tutta la propria costruzione intellettuale, suggerire per lo meno una maggiore apertura mentale verso ciò che si considera impossibile e innaturale.

Un personaggio dovrebbe sempre agire e reagire agli eventi in modo coerente con la propria personalità, invece farlo agire in modo comodo per far muovere la vicenda lungo i binari scelti è un trucchetto piuttosto scadente che non mi sarei aspettato da questo autore che in altri ambiti dimostra grandissima abilità.

Basta un’occhiata alle prime pagine per trovare descrizioni assai suggestive a conferma dell’alta qualità della scrittura; in questo paragrafo, ad esempio, l’autore descrive le tracce di una volpe nel paesaggio innevato:

Yet the animal seemed to have changed direction abruptly; startled into a hollow or a ditch by the folk out shooting nearby – men from Micklebrow, probably, who’d walked over the moor to take advantage of the wide empty canvas on which the grouse and pheasants were as bright as streaks of paint.

Starve Acre di Andrew Michael Hurley

Eppure l’animale sembrava aver cambiato direzione bruscamente; rifugiatosi in una cavità o in un fosso, spaventato dalla gente che sparava nelle vicinanze – uomini di Micklebrow, probabilmente, che avevano camminato nella brughiera per approfittare dell’ampia tela vuota su cui galli cedroni e fagiani erano luminosi come strisce di vernice.

trad. mia

Qui mostra la reazione dei corvi spaventati dagli spari:

They scattered in a mess of wings and curses and flapped away to the field across the lane.

Starve Acre di Andrew Michael Hurley

Si sparpagliarono in una confusione di ali e imprecazioni e svolazzarono verso il campo dall’altra parte della strada.

trad. mia

L’atmosfera è resa con grande cura, in modo allo stesso tempo preciso e suggestivo, cosa assolutamente non facile e che dimostra le ottime capacità dell’autore.

In conclusione un romanzo con molte qualità, che rivela la sua forza nella scrittura, in particolare nelle ottime descrizioni di grande effetto, ma con un difetto molto pesante nella trama che finisce per rovinarne un po’ il godimento.



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