Megafauna
Anno zero
«Sta partorendo. Sbrigati!»
Petra Hamilton saltò in piedi dal divanetto su cui si era appisolata e rincorse il suo socio che sembrava aver volato lungo i corridoi del laboratorio ed era già sparito dietro una porta contrassegnata da una M dentro un triangolo.
I rari visitatori ammessi oltre quella porta non potevano trattenere un grido di stupore ritrovandosi in una prateria punteggiata da macchie di arbusti e alberi frondosi. Era solo facendo attenzione che riuscivano a scorgere la cupola in cristallo e il robusto recinto in acciaio dissimulato fra la vegetazione.
La dottoressa Hamilton sapeva cosa l’aspettava nella sala, ma l’emozione che provava era intensa come raramente le era capitato. Fendette la piccola folla che si aprì per farla passare e si avvicinò al recinto. Alain Roy, il suo socio fissava affascinato un’elefantessa africana in travaglio. Si infilò fra lui e il loro ospite, il professor Jackson e si appoggiò a una delle sbarre. I due uomini le rivolsero un breve cenno di saluto senza quasi staccare lo sguardo dalla scena che si svolgeva di fronte a loro.
Finalmente la placenta si ruppe e il piccolo rotolò a terra. La madre si girò immediatamente per prendersi cura di lui. Tutti i presenti trattennero il respiro finché il cucciolo non si mosse rispondendo al tocco della madre. A differenza di essa, era coperto da una fitta pelliccia bruna, ma l’elefantessa non parve notare nulla di strano.
Petra non cercò nemmeno di nascondere le lacrime di commozione che le rigavano le guance e si girò per abbracciare il socio. «Ce l’abbiamo fatta. Ce l’abbiamo fatta davvero.»
Quando si sciolsero dall’abbraccio Alain si girò verso il professor Jackson. «Spero che ciò che ha visto basti a fugare il suo pessimismo.»
Il professore allargò le braccia. «Avete raggiunto un risultato straordinario, davvero incredibile.»
«Ma?» Petra fissò il professore, le cui sopracciglia arcuate e le rughe in mezzo alla fronte erano un chiaro indizio del suo pensiero.
«Non c’è nessun ma sul vostro risultato di oggi, è davvero meraviglioso. La de-estinzione del mammut lanoso è una cosa così unica che molto probabilmente vi varrà un Nobel. Non è la de-estinzione che mi lascia perplesso, io mi domando prima di tutto perché si sia estinto.»
Alain intervenne prendendo entrambi sotto il braccio. «Ora è il momento di brindare. Abbiamo posto rimedio a un errore della natura. Forse il mammut era troppo stupido per sopravvivere, ma adesso ci siamo noi a prenderci cura di lui.»
Jackson si accarezzò il mento. «La stupidità? In un certo senso, forse. Ma non del povero mammut.»
La discussione venne interrotta dall’arrivo di numerose bottiglie di champagne e i brindisi si susseguirono numerosi fino a tarda notte.
Dieci anni dalla nascita del primo mammut
Petra spostò di lato sospirando la pila di documenti che ingombrava la scrivania, si alzò e andò in cerca di Alain. Il socio era seduto nel suo ufficio, con lo sguardo perso verso la giagantografia di un imponente mammut che si stagliava sullo sfondo della tundra gelata.
Sedette sulla poltroncina di fronte a lui e cercò di attirare la sua attenzione. «Il bilancio del parco è sempre più in rosso. Se non troviamo una soluzione in fretta ci conviene scappare su qualche isola deserta. Con la montagna di debiti che ci ritroviamo sulle spalle perfino il Vaticano manderà dei killer sulle nostre tracce.»
Alain si girò verso di lei. «Forse ce l’ho la soluzione, ma non ti piacerà. Non credere che a me piaccia, ma come hai appena detto, non abbiamo altre strade.»
Petra lo fissò con aria interrogativa. «E sarebbe?»
«Ho parlato con alcuni degli investitori, è una loro idea. Dicono che c’è gente che pagherebbe cifre straordinarie per,» sospirò e parve cercare il coraggio per proseguire, «assaggiare la carne di mammut.»
«Cosa?» Petra balzò in piedi. «Sei pazzo? Abbiamo in tutto venti mammut, con tutte le gravidanze finite male è un miracolo che li abbiamo. Solo quattro di loro hanno raggiunto la maturità sessuale e non sappiamo ancora se sono in grado di riprodursi. Come puoi pensare di metterti a ucciderli? »
Alain si strinse nelle spalle. «Non ho intenzione di ucciderli io. Le stesse persone che pagherebbero per mangiare mammut sarebbero disposte a sborsare cifre stratosferiche per poterlo cacciare di persona.»
Petra crollò a sedere, sembrava svuotata. «Cacciare il mammut.» Parlava con un filo di voce. «Che idea crudele e stupida.»
«Lo so, ma è colpa di tutto l’hype che si è creato attorno alla preistoria. I sapiens e forse anche i neanderthal cacciavano i mammut e adesso ci sono i fanatici della paleodieta e cose del genere. C’è chi crede che che sarebbe un’esperienza magica, un ritorno alla natura ancestrale e cose di questo tipo. Sono stronzate, ma pagherebbero cifre esorbitanti per una battuta di caccia nella tundra.»
«Una battuta di caccia? E vogliono cacciare con archi e frecce?» La donna scoppiò a ridere. «Moriranno come mosche, sempre che abbiano abbastanza palle da avvicinarsi a un mammut.»
Alain scosse la testa. «Niente archi e frecce. Armi automatiche, magari da dentro un blindato. Solo una volta, una solamente. Sceglieremo l’animale meno in salute. Uno basterà per rimetterci in sesto finanziariamente, vedrai.»
Petra iniziò a piangere e nascose il viso fra le mani. «Non era così che doveva andare, non era per questo che abbiamo riportato in vita il mammut. Non per le battute di caccia.»
Alain si alzò e le appoggiò le mani sulle spalle. «Lo so, ma così potremo ripartire con nuovo slancio. Non solo copriremo le spese, ma potremo fecondare altre elefantesse e avremo molti più cuccioli. Sarà un secondo inizio, vedrai.»
Quindici anni dalla nascita del primo mammut
Il vento gelido le scompigliava i capelli e si infilava nel colletto della giacca a vento, ma non fece nemmeno lo sforzo di chiudere meglio la cerniera del piumino. Le pareva di essere diventata insensibile. Non al freddo o al vento, ma a tutto.
Alain si avvicinò a strascicando i piedi e le si mise al fianco, con le mani affondate nelle tasche del duvet. Da lontano, portato dalle raffiche gelate, giungeva un barrito acuto, lamentoso. Una piccola sagoma galoppava avanti e indietro nella tundra in mezzo ai fiocchi gelati che iniziavano ad accumularsi al suolo.
Petra si girò verso il socio. «Allora è davvero finita?»
Alain annuì. «Il piccolo è l’ultimo rimasto. E senza la madre non sopravvivrà all’inverno. I cacciatori l’hanno appena abbattuta.»
«Spero siano felici di aver portato nuovamente all’estinzione il mammut. Non avranno altre battute di caccia, lo sanno questo? Niente più zanne da esporre come trofei della propria arroganza, niente più carne per i loro pranzi da miliardari.»
L’uomo ridacchiò senza divertimento. «Oh non preoccuparti. I nostri magnanimi finanziatori hanno approfittato anche di questo. La caccia all’ultimo mammut l’hanno fatta pagare più di tutte le altre messe assieme. E il valore dei trofei è salito vertiginosamente ora che non potranno essercene altri. Da quando ci hanno estromessi dal progetto hanno fatto soldi a palate.»
«Distruggendo la loro fonte di guadagno. Aveva ragione il professor Jackson, il mammut si è estinto per colpa della stupidità, ma di certo non la sua.»