Giù nella valle: c’è un osteria? (I miei problemi con Cognetti)

Giù nella valle: c’è un osteria? (I miei problemi con Cognetti)

Io ho diversi problemi con Cognetti. Non ho problemi con lui come persona; l’ho sentito parlare in TV e dice cose tutto sommato condivisibili, mi pare anche uno simpatico. Ma con la sua scrittura e i suoi libri ho parecchi problemi.

Alcuni di essi riguardano il contenuto (in particolare il modo di vedere la montagna), c’è però qualcosa nella scrittura stessa che non mi è mai piaciuto, ma non ero mai riuscito a capire esattamente cosa fosse. Leggendo il suo ultimo romanzo credo di essere riuscito a focalizzarne di cosa si tratta.

Giù nella valle è un romanzo breve, uscito da poco per Einaudi, come gli altri libri di Cognetti.

È la storia di due fratelli, simili e diversi allo stesso tempo, come tutti i fratelli. Uno, Luigi, si è sposato, lavora come guardia forestale, ha messo la testa a posto, l’altro, Alfredo, dopo aver scontato qualche tempo in prigione se n’è andato in Canada, dove le montagne sono più grandi, gli spazi sconfinati, gli alberi e le foreste sembrano infiniti.

Dopo il suicidio del padre, Luigi offre al fratello di acquistare la sua parte della vecchia casa avuta in eredità e così Alfredo torna per l’appuntamento dal notaio. La proposta di Luigi non è però così limpida come potrebbe sembrare.

Molto diversi fra loro sono accomunati dalla tragica passione per il bere.

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Ci sono le premesse per una grande storia. Luigi cerca di nascondere al fratello che presto, proprio accanto alla casa del padre, verranno costruiti impianti di risalita e piste, aumentando così vertiginosamente il valore dell’edificio. Ma non solo, la moglie di Luigi, prima di mettersi con lui era uscita con il fratello. Un unico appuntamento finito male, ma potrebbe essere un ulteriore motivo di conflitto.

E invece no. Perché non ci sarà nessun conflitto.

Alfredo spaccherà la testa a un tizio in una rissa da bar e se ne scapperà via, forse di nuovo in Canada. Luigi pur avendo intuito la responsabilità del fratello lo lascerà andar via.

Sembra la trama de “La villa di lato: una villa quasi maledetta“. È una storia in cui poteva succedere qualcosa, solo che non succede.

Naturalmente si può dire che è una storia realistica, non sempre nella vita accadono grandi conflitti, non sempre ci si trova davanti a scelte tragiche, a volte le cose scelgono strade diverse.

Tutto vero, ma non è nemmeno detto che tutte le storie siano da raccontare.

Ah dimenticavo, intersecata alla storia dei due fratelli c’è anche la storia di un cane inselvatichito. Probabilmente dovrebbe servire per gettare una luce diversa sulla vicenda dei fratelli, un modo poetico per creare un parallelo tra le persone e la natura.

Purtroppo io sono molto poco poetico e non riesco a percepirne né la bellezza né il significato, per cui la trovo una parte piuttosto inutile.

E veniamo al problema della scrittura. In questo libro Cognetti è quasi sperimentale. Il primo capitolo, scritto in terza persona, racconta la storia dei cani, dal “punto di vista” di una cagna. Il secondo capitolo è ancora in terza persona, ma questa volta segue il punto di vista di Luigi. Il terzo capitolo è in prima persona ed è narrato da Alfredo, poi si torna in terza persona nel capitolo successivo con la storia di Elisabbetta, la moglie di Luigi per finire in prima persona dal punto di vista di Luigi.

Sicuramente si tratta di una scelta interessante che potrebbe rivelarsi molto coinvolgente, se non fosse per un grosso problema: in nessun capitolo c’è il punto di vista del personaggio principale. La voce che si sente è sempre la stessa voce, la voce dell’autore che ti racconta la storia.

Non è la presenza discreta di un autore che giustamente e inevitabilmente infila nella narrazione le proprie idee e la propria visione del mondo. È piuttosto come se un regista mettesse in scena uno spettacolo, ma poi si piazzasse davanti agli spettatori e invece di fargli vedere il palco si mettesse a raccontare cosa succede. C’è sempre Cognetti davanti alla scena, non si è mai, non dico dentro la testa, ma nemmeno vicini ai personaggi.

Non sono mai i personaggi che guardano le cose, c’è l’autore che descrive l’ambientazione dall’esterno, poi fa muovere i personaggi come dei burattini più che come interpreti dotati di personalità.

C’è una frase in particolare che mi ha fatto capire cosa non mi piaceva della scrittura:

“Il fiume a monte si infossava nella valle, si restringeva e si faceva torrentizio.”

Questo non è lo sguardo di una guardia forestale con problemi di alcolismo e che fatto solo la terza media.

Un fiume non diventa torrentizio, non in un romanzo. Forse su Wikipedia o sulla brochure turistica o su una vecchia guida del Touring, non nello sguardo di un montanaro. Nemmeno Alberto Angela parlerebbe così. Provate a immaginarvelo: “…ecco, alle mie spalle il fiume si infossa nella valle e diventa torrentizio”. Ci riuscite? Io no. Probabilmente direbbe: “Vedete alle mie spalle? Più a monte fiume si infossa e diventa più simile a un torrente” o qualcosa del genere.

Ho riletto il romanzo e mi sono reso conto che la sensazione è sempre la stessa, è come se ci fosse un filtro davanti a ciò che accade. Non sono mai riuscito a sentirmi vicino ai personaggi, coinvolto nelle loro vicende, non ho empatizzato con loro.

In un altro punto, nella parte dedicata a Elisabetta c’è questa frase:

“Ha un marito che a volte dorme con lei, e a volte nel bosco. Elisabetta se ne stancherà, un giorno non piú lontano.”

Chi sta parlando qui? È l’autore che ci racconta uno squarcio di futuro? Ma perché? Prima ci raccontava i pensieri di Elisabetta, ora ci anticipa qualcosa che lei non può sapere. O si è già stancata del marito o non se n’è accora stancata. È un futuro esterno alla storia, oltre le vicende che vengono narrate, serve solo per aumentare ancora il distacco fra lettore e personaggi.

Probabilmente è un mio limite che mi rende incapace di godere dello stile di Cognetti, ma il suo è un modo di scrivere che non riesco ad apprezzare, rimango però sempre con l’impressione di un autore potenzialmente molto capace, ma che si accontenta di volare basso.

Il libro si chiude con una poesia, ma come ho già detto la mia capacità di apprezzare la poesia è molto limitata per cui non tento nemmeno di analizzarla o commentarla.



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