Ka: Dar Oakley in the Ruin of Ymr – Corvi e Umani fra la vita e la morte
Dopo aver recensito Engine Summer (un romanzo del 1979) di John Crowley questa volta tocca al più recente Ka: Dar Oakley in the Ruin of Ymr pubblicato nel 2017 e non ancora tradotto in italiano (lo sarà mai? Speriamo che qualcuno sia in ascolto…).
John Crowley è un autore poco noto in Italia, solo parte delle sue opere è tradotta e il suo nome è conosciuto solo da pochi appassionati; si tratta però di uno scrittore di altissimo livello tenuto in grande considerazione nel mondo anglosassone, anche al di fuori della cerchia dei cultori di Fantasy e Fantascienza (per un piccolo approfondimento vedi la recensione di Engine Summer).
Ka: Dar Oakley in the Ruin of Ymr è un romanzo molto particolare, un fantasy, forse, ma se lo è, è molto diverso da quello che si intende comunemente con questo termine. Credo che ancora una volta sia meglio usare la definizione di Speculative Fiction, che comprende come un ombrello tutto ciò che è narrativa non realistica. In questo romanzo non ci sono spade magiche, elfi e nani, “eletti” alla ricerca del proprio destino, o cose di questo genere. È invece un romanzo complesso, con varie tematiche che donano profondità agli eventi dell’intreccio e creano un substrato fecondo per le molteplici interpretazioni e riflessioni a cui la storia si presta.
Non me la sento dare un giudizio specifico sulla qualità della prosa, il mio inglese è abbastanza buono per capire il testo, anche se, a volte, con qualche difficoltà, ma non per giudicarlo. Sicuramente è una scrittura più complessa e raffinata della media, la scelta dei vocaboli è ricercata e mai banale, e spesso vengono preferiti dei termini un po’ inconsueti al posto di parole più comuni, ma sempre per una precisa necessita stilistica, non per il gusto di usare parole difficili. Devo ammettere che senza qualche buon dizionario on line avrei avuto difficoltà a comprendere alcuni passaggi del testo. Le recensioni in lingua inglese concordano però tutte sul fatto che si tratti di una prosa di altissimo livello.
Questo è il secondo libro fra quelli letti negli ultimi mesi in cui il narratore è un animale. Dopo il cane di A Night in the Lonesome October di Zelazny, questa volta il narratore è un corvo. In realtà qui la situazione è più complessa: infatti il narratore è un uomo, che riferisce una storia, così, come gli è stata raccontata da un corvo che ha raccolto nel suo giardino. Questo aggiunge un livello di complessità alla figura del narratore. Come nei romanzi e racconti di Gene Wolfe ci ritroviamo con un narratore inaffidabile, o meglio, un narratore di cui non riusciamo a conoscere l’affidabilità.
Abbiamo infatti un narratore umano, un uomo da poco rimasto vedovo, malato e lui stesso vicino alla morte. È l’abitante di un futuro non troppo distante da noi, un mondo decadente diretta verso un’apocalisse fatta di montagne di rifiuti e progressiva disumanizzazione. Quest’uomo ci narra una storia: dice di averla appresa da un corvo quasi moribondo raccolto nel suo giardino, dopo aver imparato a comunicare con lui. Ma lui stesso non è assolutamente certo di averla sentita (maybe “…this is only a story I have told myself”) e comunque ammette di aver cercato di tradurla dal linguaggio dei corvi a una lingua umana, passaggio non facile che spesso richiede l’interpretazione di concetti diversi nei due mondi: uomini e corvi pensano in modi differenti. Il passaggio di traduzione aggiunge incertezza sulla veridicità e precisione del racconto, inoltre, come il narratore umano ci fa notare, Dar Oakley (questo il nome del corvo protagonista della storia) ha scelto di raccontare alcuni episodi della sua vita e di tacerne altri. Anche questa scelta contribuisce a renderlo un narratore inaffidabile: infatti quand’anche i suoi racconti fossero precisi, non sarebbero comunque completi, mettendo in luce alcuni episodi della vita del corvo, di cui alla fine, forse, sappiamo meno di quanto crediamo di sapere.
Personalmente tendo a fidarmi dei narratori, così come mi fido di Severian (La saga del Nuovo Sole), mi fido di Dar Oakley e dell’umano senza nome che racconta la storia.
Le storie con animali parlanti sono difficili da maneggiare perché si rischia sempre di umanizzare gli animali, i loro comportamenti e i loro pensieri, trasformandoli in caricature di esseri umani. Crowley, invece, riesce perfettamente nell’intento, i suoi corvi non sono esseri umani sotto mentite spoglie, non pensano e non agiscono secondo le nostre categorie morali. La vita di Dar Oakley è strettamente intrecciata con quella di alcuni esseri umani così come la vita di tutti i corvi si intreccia con quella della specie umana, ma, nonostante ciò, il suo modo di pensare e agire rimane quello di un corvo. Naturalmente un etologo potrebbe trovare da ridire su questa affermazione, Dar Oakley è un corvo che pensa e comunica con gli umani, ma leggendo la storia si ha davvero l’impressione di vedere il mondo dalla prospettiva dell’animale.
La caratteristica particolare di Dar Oakley non è solo quella di saper comunicare con gli esseri umani, ma anche la sua immortalità. In realtà, pur non invecchiando, può morire (ad esempio trafitto da una freccia), ma rinasce ogni volta, in un tempo diverso e dapprima privo della memoria delle vite precedenti, che riacquista solo un po’ alla volta.
Nel corso del romanzo seguiamo quindi Dar Oakley in alcune delle sue reincarnazioni, ognuna delle quali segnata dall’amicizia con un essere umano. La storia del corvo comincia in un punto imprecisato dell’Europa prima della conquista romana, in un momento in cui le tribù umane iniziano a diffondersi in un mondo ancora vergine; qui i corvi incontrano per la prima volta gli uomini e Dar Oakley inizia il suo percorso che lo porterà a intrecciare la sua vita con il mondo degli uomini e con il loro regno dei morti.
Lo ritroviamo poi nei pressi di un’abbazia medievale, nell’America dei nativi al tempo dei primi contatti con gli europei, durante la guerra civile americana e poi ancora a cavallo fra ‘800 e ‘900, in un futuro imprecisato e infine nel momento in cui incontra il narratore a cui racconterà la sua storia.
In quasi tutte queste situazioni costruirà un rapporto di amicizia con un umano diventando per ognuno di essi una specie di guida in grado di aiutarli a varcare la soglia del regno dei morti. Dar Okley è una creatura liminale, non solo per la sua capacità di trovare la soglia del regno dei morti, ma anche per la sua posizione a metà fra il regno dei corvi e quello degli umani e finirà per ritrovarsi a non appartenere a nessuno dei due.
Non voglio raccontare altri dettagli della storia, spero che quanto detto sia sufficiente per far scattare la voglia di leggere il libro. È un romanzo affascinante e complesso, poetico, con punte di delicato lirismo e momenti crudi e violenti, ricco di riflessioni e di stimoli. Non è un libro per chi cerca una lettura veloce da dimenticare subito dopo aver girato l’ultima pagina, ma è imperdibile per chi ama le storie profonde e stratificate.
Che fa da asse portante di tutto il romanzo è il tema della morte, ma soprattutto di come la morte viene affrontata e di come viene raccontata in vari momenti della storia umana. Soprattutto raccontata, perché l’altro tema portante, forse ancora più fondamentale riguarda il valore delle storie. Sono le storie narrate che rendono immortali, come dice un Coyote a Dar Oakley:
Stories… Not to tell you something you don’t already know. We’re made of stories now, brother. It’s why we never die even if we do.
John Crowley – Ka
Storie… Non per dirti qualcosa che non sai già. Siamo fatti di storie, fratello. È per questo che non moriamo mai, nemmeno quando succede.
John Crowley – Ka (traduzione mia)
Siamo fatti di storie, ma come diceva Shakespeare siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e in fondo storie e sogni non sono molto diversi.
Sono le storie a creare il mondo e così il regno delle tenebre è di volta in volta differente, a seconda di come è pensato e creduto dai vivi, perché anche il regno dei morti è, come tutto il resto, una storia:
Only the living can travel there from here, cross the river, see and speak to those they know or know of, take away its treasures. The living create the Land of Death and its inhabitants by going there, and returning with a tale. But dead People can’t be there, can’t go there or anywhere: they’re dead.
John Crowley – Ka
Solo i vivi possono viaggiare da qui a lì, attraversare il fiume, vedere e parlare con coloro che conoscono direttamente o indirettamente, portare via i suoi tesori. I vivi creano la Terra dei Morti e i suoi abitanti andandoci e ritornando con una storia. Ma i morti non possono essere là, non possono andare là o in nessun altro luogo: sono morti.
John Crowley – Ka (traduzione mia)