L’ineleganza del tradire la premessa (e di come è quasi sempre meglio evitare i Deus ex machina)

L’ineleganza del tradire la premessa (e di come è quasi sempre meglio evitare i Deus ex machina)

Ritorno a parlare della premessa dopo averne già scritto qualche tempo fa qui, questa volta con un esempio concreto, ma si tratta di un esempio negativo; del resto si impara più dagli errori che dalle cose giuste.

Tempo fa ho letto L’eleganza del riccio di Muriel Barbery e da allora c’è un pensiero che mi frulla continuamente in testa per il fastidio che mi ha provocato il finale del libro.
Questa non è una recensione spoiler free, al contrario, anzi non è per niente una recensione, mi interessa di più soffermarmi su alcuni aspetti tecnici che un autore dovrebbe tenere sempre presenti quando scrive un romanzo. Per far questo ho bisogno però di raccontare a grandi linee la trama, quindi se siete di quelli che temono gli spoiler andatevi a leggere il libro prima di tornare a curiosare per scoprire cosa mi ha infastidito nel suo finale.

La storia è narrata dalle voci che si alternano della portinaia di una palazzo elegante di Parigi, Renée, e di Paloma, una ragazza dodicenne che abita in uno degli appartamenti del condominio. Renée che incarna alla perfezione lo stereotipo della portinaia ignorante, pigra, scorbutica e sempre attaccata al televisore è in realtà una persona di grande intelligenza e di vasta cultura, dotata di sensibilità e di un gusto raffinato. Si guarda bene tuttavia dal lasciar trasparire le sue doti e preferisce nascondersi dietro la maschera di persona un po’ tarda e apatica che si è costruita fin da ragazzina.
Paloma è una ragazza con un’intelligenza acuta e una grande sensibilità che non riesce ad accettare le finzioni e le ipocrisie del mondo dell’alta borghesia e per questo ha deciso di suicidarsi dando fuoco alla casa in cui vive.
I due personaggi si sfioreranno spesso, arrivando a sospettare entrambe che nell’altra ci sia più di quanto sembra, ma non riusciranno a far breccia nei rispettivi muri finché non appare un terzo personaggio che fungerà da catalizzatore, un ricco giapponese, il signor Ozu, che saprà vedere in entrambe i segreti che nascondono.  Ozu è profondamente diverso dagli altri inquilini del palazzo, borghesi ricchi, ipocriti, sempre impegnati nell’ostentare e nell’apparire; è gentile, intelligente, sensibile, colto, non ostenta nulla e tratta tutti con cortesia e grande umanità.
Sarà lui, alleato con Paloma, a smascherare la finzione di Renée, instaurando con la portinaia un’amicizia profonda basta sull’amore per la cultura e l’arte e per una particolare sensibilità verso il bello.

Nonostante il libro sia narrato a due voci e sia Paloma che Renéè compiano un arco di trasformazione, la vera protagonista è quest’ultima. È la portinaia che cambiando stimola, di riflesso, il cambiamento della ragazzina.

Il cambiamento di Renée avviene grazie ad Ozu, che sapendo apprezzare la vera natura della donna, instaura con lei un rapporto di amicizia, sconvolgendo così tutti i codici di comportamento che prevedono una chiara separazione fra i ricchi e apparentemente raffinati abitanti dello stabile e la loro rozza portinaia. La donna, prima fautrice di questa separazione, sente crollare il suo travestimento e finisce per rivelare la sua vera natura, per lo meno ad Ozu e a Paloma. Il cambiamento avviene quando lei si concede di oltrepassare questa linea di separazione ed entra nel mondo della classe alta accettando l’invito a cena di Ozu. Per la prima volta in vita sua Renée può essere davvero se stessa in presenza di un’altra persona, non deve simulare ignoranza e discute alla pari con Ozu di arte, cinema e letteratura. In questo c’è una naturalezza che non sconfina mai nell’esibizione, intelligenza e cultura non sono ostentate, né dall’uno né dall’altra, sono semplicemente accettate come naturali.

Ma perché Renée è così ostinata nel nascondere la propria intelligenza e le proprie capacità ed ha il terrore di mescolarsi con le classi agiate? La risposta è in un episodio della sua infanzia miserevole, quando la sorella, andata a lavorare a Parigi come cameriera in un casa di ricchi, torna incinta, sedotta e ovviamente abbandonata.

Renée racconta a Paloma: “Lisette visse solo il tempo di mettere al mondo suo figlio. Il neonato fece quello che ci si aspettava da lui: morì tre ore dopo. Da quella tragedia, che per i miei genitori rappresentava il normale andamento delle cose, tanto che non ne furono toccati né più né meno che se fosse morta una capra, dedussi due certezze: i forti vivono e i deboli muoiono, tra gioie e dolori proporzionati al posto che occupano nella gerarchia sociale; e proprio come Lisette era stata bella e povera, io ero intelligente e indigente, quindi come lei ero destinata alla punizione se solo avessi osato trarre vantaggio dalla mia mente a dispetto della mia classe sociale. In definitiva, poiché non potevo smettere di essere ciò che ero, la mia unica possibilità mi parve quella del segreto: dovevo tacere ciò che ero e non intromettermi mai in quell’altro mondo.
Da taciturna divenni quindi clandestina.”

Renée vive tutta la vita nascosta, convinta che ognuno debba rimanere saldamente ancorato al posto che gli è stato assegnato dal destino e per questo motivo non tenta mai di sfruttare i propri talenti per emergere o migliorare la sua posizione.

È la stessa Paloma a esplicitare con chiarezza il concetto nel capitolo successivo, scrivendo nel proprio diario: “Madame Michel mi ha raccontato il suo trauma infantile: sta alla larga da Kakuro perché è rimasta traumatizzata dalla morte di sua sorella Lisette, sedotta e abbandonata da un ragazzo di buona famiglia. Così, da quella volta, ‘evitare di fare amicizia con i ricchi per non morire’ è diventata la sua tecnica di sopravvivenza.”

Ma sempre nel capitolo precedente, il racconto di Renée a Paloma di chiudeva così:
“«Mio Dio» dico, calmandomi un po’, «mio Dio, Paloma, come sono sciocca!».
«Madame Michel» mi risponde, «sa, lei mi restituisce la speranza».
«La speranza?» chiedo, tirando su col naso in modo patetico.
«Sì» dice lei, «mi sembra che cambiare destino sia possibile».”

È sempre Paloma a mostrarci i punti focali della vicenda.

  1. Cambiare è possibile ed è una cosa positiva
  2. Renée ha paura di mostrare se stessa e di sfidare il destino che le è stato assegnato e recita quindi il ruolo della persona rozza e ignorante

Da questi elementi direi che la premessa del romanzo potrebbe essere qualcosa del tipo: Per essere davvero felici non si deve aver paura di essere se stessi, di utilizzare a pieno i propri talenti e di sfidare le convenzioni sociali.

Partiamo da un situazione in cui la protagonista si nasconde dietro una maschera, nella vita non ha mai potuto essere se stessa, non ha mai conosciuto la felicità e nemmeno un istante di completezza e arriviamo al punto in cui finalmente getta questa maschera e dopo essere andata a cena a casa di Ozu accetta, qualche giorno dopo, il suo secondi invito a cena, questa volta in un ristorante di Parigi. Renée è pronta a mostrare se stessa non solo al ristrettissimo gruppo di persone fidate, Ozu e Paloma, ma a tutto il mondo.

Tutto il romanzo ci dice che cambiare il proprio destino è non solo possibile, ma doveroso, se si vuole trovare la felicità.

Come finisce dunque il romanzo? Con Renée che esca a cena con Ozu?

No, con Renèe che muore investita da una macchina prima di riuscire ad andarci.

BAM

La morte di Renée uccide totalmente il romanzo che perde di significato e viene derubricato da discreto a pessimo.

Il colpo di scena finale è sbagliato in modo così spettacolare per due motivi ben precisi. Se la premessa del romanzo dice che è giusto sfidare la sorte ed essere se stessi (e tutto il romanzo è costruito in questa direzione) com’è possibile che il protagonista venga punito per averlo fatto? La morte di Renée sancisce esattamente l’opposto e cioè che non si deve sfidare il proprio destino, pena la morte. Non si deve mescolarsi con classi sociali diverse, i poveri devono saper stare al loro posto o ci penserà il destino tragico a riportaveli. La storia di Renée non è diversa da quella della sorella Lisette.

Ma se fossi io ad aver compreso male la premessa del romanzo? Se l’autrice avesse voluto dire proprio questo?

In tal caso avrebbe dovuto scrivere il romanzo in modo diverso, la punizione non doveva arrivare da un evento esterno e casuale, ma dallo sviluppo interno della vicenda. Ozu avrebbe potuto stufarsi dell’amicizia con Renée, avrebbe potuto iniziare a vergognarsi di mostrarsi in giro con una portinaia, oppure la stessa Renée avrebbe potuto scegliere di restare chiusa nel proprio buco. Insomma, i modi per esprimere una premessa di quel tipo erano tanti, un incidente stradale è il più sbagliato.

Il secondo errore è proprio invocare l’intervento di un Deus ex machina per rimettere le cose al loro posto. Già Aristotele, più di duemila anni fa, mostrava disprezzo per quei commediografi che non sapendo come concludere una vicenda facevano intervenire un dio che risistemava le cose. In genere il dio premiava i buoni e puniva i malvagi, qui abbiamo un dio (o il destino) che punisce la donna che ha cercato di cambiare e di migliorare se stessa.

Abbiamo quindi un finale in aperto contrasto con la premessa della storia e per di più generato dall’intervento di un Deus ex machina.

Sembra quasi che l’autrice sia stata costretta ad aggiungere un finale posticcio e tragico da qualche editor incompetente o da qualche editore incapace. Per altro mi è capitato di leggere apprezzamenti per il finale tragico in alcune recensioni che temevano un finale mieloso. Probabilmente gli sciocchi convinti che un finale positivo e non tragico sia inaccettabile per qualsiasi romanzo che non voglia essere bollato come rosa proliferano anche in Francia. Ma vuol dire non aver capito nulla di scrittura e di narrazione: se la premessa della storia richiede un finale positivo non la si migliora certo con un intervento esterno che trasforma il finale in tragedia.

La morale di questa storia spero sia chiara, non pasticciate le storie con interventi esterni improbabili e abbiate ben chiaro cosa volete dire per non ritrovarvi a dire una cosa e il suo esatto opposto nel giro di un paio di capitoli.

 

 



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