La caccia

La caccia

Fiutò di nuovo l’aria. Fra quegli odori bizzarri e sconvolgenti che aveva dovuto imparare a sopportare e conoscere gli parve di percepire una lieve traccia di quello che stava cercando. Si voltò a cercare gli altri, non vide nessuno, ma nell’aria c’era l’odore familiare di alcuni compagni e più lontano il sentore degli umani.

Per quanto si sforzassero non riuscivano mai a tenere il passo, ma non c’era da stupirsi, per quanto lunghe, due gambe non potevano competere con quattro. Non era un problema, appena avesse individuato l’obiettivo avrebbe attivato il segnalatore sul collare e gli uomini avrebbero rilevato la sua posizione.

Scacciò i pensieri dalla mente e si concentrò sugli odori. Se doveva credere agli uomini, e non aveva motivo per dubitare, il suo olfatto era stato aumentato rispetto a quello dei suoi genitori e così il suo cervello. Aveva avuto modo di rendersene conto quando aveva incontrato dei cani normali: erano capaci di obbedire a semplici comandi, ma non li comprendevano davvero, non riuscivano a scorgere le motivazioni di quelle azioni che erano addestrati a compiere.

Lui e i suoi compagni come lui, invece, erano in grado di capire. Non tutto, certo; molte azioni degli umani rimanevano misteriose e imperscrutabili, ma in genere era in grado di comprendere il perché di ciò che gli veniva chiesto di fare. L’unico problema era che una mente così piena di pensieri tendeva a divagare. Ecco lo stava facendo anche ora, ma fortunatamente non aveva perso la traccia.

L’odore lo portava verso la cima della collina. Corse fra la strana vegetazione che cresceva sotto quel cielo arancione. Anche i colori brillanti erano una cosa negata ai normali e lui era così felice che anche i suoi occhi fossero stati resi speciali. Si lanciò in avanti, spaventando un gruppo di animali bizzarri che si sparpagliò saltellando lasciandosi dietro una scia di odore acido.

Si arrestò di colpo. Nonostante mesi di acclimatamento, il suo naso non sempre riusciva a sopportare i miasmi e le fragranze di quel mondo. Attese che il lezzo acido si disperdesse nell’aria. Approfittò di quella pausa per guardarsi attorno. Dalla collina era in grado di spaziare con lo sguardo sui boschi di piante dai tronchi contorti come serpenti e dalle foglie brillanti e affilate più delle sue unghie e sui prati ricoperti di erba rosso-bruna. Nemmeno da lassù riusciva a individuare i suoi compagni, dovevano essersi sparpagliati seguendo tracce che li avevano portati in direzioni lontane e gli umani erano sicuramente troppo indietro ormai.

Drizzò le orecchie, qualcosa si muoveva più in basso, a una ventina di passi da lui. Si acquattò nell’erba: attaccare o scappare, ma non poteva ancora decidere. Attese, immobile, con i muscoli tesi dolorosamente. Qualcosa delle dimensioni di un bulldog, ma dalla forma quasi sferica si alzò in aria ancorato al suolo da una lunga coda sottile.

Si rilassò, non serviva scappare e attaccare sarebbe stato un grosso errore, ma per fortuna era sufficiente fare un largo giro e non passare troppo vicini a quel coso e non ci sarebbe stato alcun pericolo. Scese l’altro lato della collina, un torrente scorreva fra due alte rive scavate nella roccia cobalto. Si fermò un attimo con un fitta di nostalgia: l’acqua era sempre la solita, aveva l’aspetto, l’odore e il sapore di quella di casa. Forse l’acqua era così ovunque e l’avrebbe ritrovata sempre uguale, su ogni mondo su cui gli umani avessero deciso di portarlo.

Superò il torrente con un balzo e riprese la sua ricerca. Una cosa che non era riuscito a capire era la follia che spingeva gli umani a volersi fermare su quel mondo dagli odori così sgradevoli. Colonizzarlo, era il termine che avevano usato. Perché mai non potessero accontentarsi del mondo su cui erano nati gli riusciva incomprensibile. Ma quello era il motivo per cui l’avevano portato lì. Scacciò per l’ennesima volta i pensieri dalla mente e si sforzò di seguire solo il proprio naso.

Ritrovò la traccia che stava cercando e riprese le corsa. Amava correre libero, da solo, lontano sia dai suoi compagni che dagli uomini, sempre indaffarati nell’adattare le cose ai loro desideri e mai capaci di essere loro stessi ad adattarsi. A volte provava pietà per quei bipedi che avevano perso la voglia e la possibilità di sentire il mondo. I loro piedi calzati non sapevano percepire il terreno, la loro pelle sempre coperta non sapeva più riconoscere il tocco dell’aria e del sole, per non parlare del loro naso. Se davvero avevano aumentato il suo olfatto, perché mai non aumentavano anche il loro? Doveva essere sempre per quella loro incapacità di adattarsi. Anzi il problema doveva essere ancora più profondo.

Si arrestò di colpo, questa volta non voleva smettere di pensare. Dimenticò la traccia e si mise a inseguire quell’idea che gli era appena balenata. Gli uomini non erano incapaci di adattarsi, come non sarebbero stati incapaci di modificare se stessi come avevano fatto con lui: non volevano farlo. Adattarsi, cambiare, voleva dire ammettere di essere in qualche modo inadeguati. E questo non potevano accettarlo. Ecco perché dovevano pasticciare tutto.

Scodinzolò soddisfatto di essere giunto a quella conclusione e con la mente finalmente libera riprese l’inseguimento della traccia.

Ora l’odore era più forte, l’obiettivo non era lontano. Si lanciò in una corsa sfrenata costeggiando un bosco di alberi bizzarri, ognuno con un’unica enorme foglia quasi perfettamente circolare che spuntava dalla cima.

Con un ultimo balzò si fermò accanto a un cespuglio ricoperto di lunghe foglie filiformi blu. La sua preda era certamente nascosta lì sotto. La curiosità lo spinse ad attendere prima di attivare il segnalatore sul collare. Non appena l’avesse fatto gli umani avrebbero rilevato la sua posizione e, visto che era ormai lontano, sarebbero saliti su una delle loro macchine volanti e in pochi istanti l’avrebbero raggiunto, l’avrebbero fatto salire con loro e avrebbero bruciato tutto.

Ma lui voleva scoprire cos’era ciò che aveva inseguito con tanta foga. Con estrema cautela infilò il muso fra le foglie tenere che si spostarono con un lieve fruscio. Nascosto nel cespuglio trovò un piccolo essere ricoperto da una fitta peluria verde-azzurra; non pareva affatto pericoloso, sembrava un cucciolo. L’essere arretrò lievemente. Dopo un istante allungò una zampa e gli sfiorò il naso. Non era una zampa, ma una piccola mano, simile a quelle degli umani, con il palmo privo di peli. Il suo tocco era delicato e gentile. Possibile che quello fosse il nemico degli umani? L’unico capace di opporsi alla loro avidità di conquiste?

Sbuffò lievemente e ritrasse il muso dal cespuglio. Ululò, frustrato dallo sforzo di disobbedire al suo addestramento, poi si girò e riprese la sua libera corsa in quello strano mondo.



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