Trame con le tarme (e come evitarle)
Mi piace leggere, mi piacciono i film, adoro le storie, ma ho un difetto: sono di gusti difficili, se la trama non funziona io storco il naso. Odio le trame con le tarme che ci scavano dentro buchi che troppo spesso diventano vere e proprie voragini (se leggerete qualche recensione fra quelle pubblicate su questo stesso blog nella sezione “leggere” vi renderete facilmente conto di cosa intendo).
Normale che sia così, direte voi e invece no. Forse sarebbe stato normale un po’ di anni fa e sarà che io sono vecchio, ma ho l’impressione che negli ultimi tempi molti autori si siano dimenticati i pochi e semplici principi minimi per costruire una buona storia.
Mi riferisco a tutta la narrativa, tranne a quella sperimentale. Nella scrittura sperimentale si possono applicare principi totalmente diversi, ma si tratta di un discorso a parte.
Perché dico che i principi millenari per costruire buone storie sono stati dimenticati? Perché ho letto troppi libri e visto troppi film con trame inconsistenti, personaggi ridicoli, accadimenti insensati.
Ma prima di tutto vediamo quali sono questi principi millenari della buona scrittura. Partiamo dall’inizio, non dal primo narratore ovviamente, ma dal primo che abbia cercato di codificare l’arte della narrazione: Aristotele.
Aristotele nella “Poetica” diceva che: “Gli eventi in una storia devono accadere per probabilità o necessità”. Diceva molte altre cose ovviamente, ma mi preme soffermarmi su questa. Significa semplicemente che un evento, perché abbia un senso nella storia deve essere percepito dagli spettatori come un evento che “deve” accadere o che è come minimo probabile che accada. Vuol dire che si possono raccontare solo storie totalmente realistiche? Niente affatto, in una storia possono accadere eventi impensabili, basta solo presentarli in modo da farli sembrare “naturali”, devono avere perciò una causa scatenante.
Vuol dire quindi immaginarsi cause plausibili e possibili. Che siano accadimenti esterni o azioni di qualche personaggio devono sempre avere delle cause, inoltre cause ed effetti devono essere strettamente legati. Sembra banale dirlo, ma spesso si vedono effetti senza cause o totalmente sproporzionati in rapporto a ciò che li ha innescati.
Troppo spesso lo scrittore o lo sceneggiatore sanno di cosa hanno bisogno nella loro trama per arrivare alla fine della storia e lo fanno accadere così, senza giustificarlo con una causa plausibile ottenendo però in questo modo quello che io chiamo l’effetto WTF (what the fuck) traducibile in italiano con: “Ma che caz..” che è quello che esclamerà il lettore (o spettatore) un po’ attento alla storia.
Fra tutte le cause di cui si deve tener conto, le più importanti sono quelle che giustificano le azioni dei personaggi.
Perché un personaggio agisce in un certo modo? E perché proprio in quello e non in un altro? Solo l’autore può saperlo, ma il lettore (spettatore) deve poterlo capire.
Prendiamo ad esempio un protagonista che sfida la morte senza paura, affronta un leone a mani nude; se nella storia incontra un secondo leone non potrà averne paura, dovrà comportarsi in modo coerente, se non lo fa dev’esserci una ragione precisa, non basta che all’autore serva una scena di fuga. O se scopriamo che il protagonista ha paura dei topolini dovrà esserci anche qui una spiegazione plausibile, magari un trauma infantile (banale, ma funziona) o qualche altro motivo.
La coerenza interna è un punto fondamentale.
Coerenza significa che nel mondo della storia, una volta stabilite delle regole esse non potranno cambiare senza un motivo preciso. Nel mondo che sto inventando le persone possono volare? Perfetto, l’importante è che a un certo punto non decida di cambiare le regole e dire che non volano più solo, perché mi serve che un personaggio non spicchi il volo. Se cambio una regola devo giustificare il cambiamento. Lo stesso vale per i personaggi, se un personaggio si comporta in un certo modo non può cambiare senza motivo. Un ladro non diventa onesto perché così; se voglio che ci sia un cambiamento devo prepararlo, mostrarlo e giustificarlo.
Ma perché le persone (e di conseguenza i personaggi) agiscono? Lo fanno perché hanno delle motivazioni e la motivazione fondamentale è la volontà di raggiungere uno scopo ben preciso, un obiettivo. La azioni dei personaggi devono avere uno scopo, tutta la narrazione dev’essere orientata a uno scopo.
[Nota: Tralascio in questo contesto di parlare del fatal flaw, il “difetto interiore” del personaggio che all’inizio della storia gli impedisce di raggiungere lo scopo che desidera.]
Qual è l’obiettivo? Può essere qualsiasi cosa: sopravvivere, mangiare, fare sesso, trovare un lavoro, mollare un lavoro, vincere una gara, innamorarsi, trovare un tesoro, essere lasciato in pace, imparare la magia, vendicarsi… Di qualunque cosa si tratti il lettore deve essere consapevole che uno scopo c’è.
Lo scopo può essere tenuto nascosto al lettore? Sì, certo, ma in ogni istante della narrazione si deve capire che uno scopo, anche se sconosciuto, è comunque presente e che guida le azioni dei personaggi in modo coerente. Lo scopo esplicito rende le cose molto più semplici, ma può capitare che alcuni personaggi agiscano per scopi che non si vogliono rivelare o che magari diverranno chiari solo ad un certo punto della storia. Quando lo scopo non è noto, le azioni di un personaggio possono sembrare casuali o erratiche, ma nel momento in cui l’obiettivo diventa palese il lettore deve avere una rivelazione, poter esclamare: “Ah, ecco perché aveva fatto così e così, ecco perché non aveva agito in altro modo”.
Le azioni di un personaggio devono essere logiche e giuste, ma logiche e giuste non in senso assoluto, devono esserlo per quel personaggio. La decisione di Hannibal Lecter di mangiarsi qualcuno non sembra una decisione né giusta né logica (tantomeno moralmente giusta), ma se il personaggio è un cannibale può essere quella più giusta e sensata dal suo punto di vista.
Ogni personaggio dunque deve agire sempre per raggiungere un obiettivo, solo in questo caso le sue azioni avranno un senso.
In quasi tutte le storie c’è un obiettivo generale, quello finale verso cui tende tutta la narrazione e molti obiettivi temporanei. Gli obiettivi temporanei rappresentano dei traguardi che è necessario raggiungere per proseguire la strada verso quello principale e spesso spingono i protagonisti sempre più lontano dalla meta, permettendo all’autore di arricchire la storia di svolte impreviste e suspense.
Per fare un esempio immaginiamo una commedia romantica con risvolti gialli. L’obiettivo principale in una commedia romantica è un fidanzamento o un matrimonio, ma gli obiettivi temporanei possono essere tutt’altro. Immaginiamo due fidanzati che sono appena andati a scegliere il ristorante dove festeggiare il matrimonio e ora devono recarsi in tipografia per pagare la stampa degli annunci di nozze; passano in banca per prelevare il denaro necessario, ma lì vengono coinvolti in una rapina e si ritrovano con la valigetta con il malloppo e devono sfuggire ai rapinatori. È ovvio che l’obiettivo del matrimonio con tutti suoi annessi e connessi in questo momento passa in secondo piano, ora c’è da salvare la pelle. Non significa che i personaggi non vogliano più sposarsi, ma che è subentrato un obiettivo diverso che finché non verrà raggiunto sostituirà quello principale. Sarebbe assurdo se in questa situazione i protagonisti continuassero a occuparsi dei preparativi delle nozze invece di sfuggire ai banditi. Solo una volta garantita la sopravvivenza potranno ritornare a dedicarsi al matrimonio.
I personaggi devono quindi seguire delle linee di azione che si adattino alla situazione contingente, però se prendiamo dieci persone diverse e diamo loro un obiettivo da conseguire quasi certamente vederemo dieci linee di azione diverse, alcune efficaci, altre no.
Quale di queste è quella giusta? Lo sono tutte, indipendentemente dal risultato; le dieci scelte diverse dipendono dal carattere, dal modo di pensare, dalle precedenti esperienze di ognuno. Cosa fare per ottenere uno scopo è una scelta personale, ogni personaggio farà la propria a seconda di chi è. Diventa fondamentale per l’autore conoscere a fondo l’intimità del proprio personaggio, la sua personalità.
Nessuno fa qualcosa senza motivo; a volte può essere stupido e banale, se chi agisce si basa su impulsi stupidi e banali, ma esiste sempre. Personaggi complessi potranno avere motivazioni interiori che nemmeno loro comprendono e conoscono a fondo (ma l’autore sì), personaggi meno profondi saranno guidati da motivazioni più lineari, ma nessuno potrà agire senza una ragione.
Quando si decide quale linea d’azione far scegliere a un personaggi ci si scontra con una specie di paradosso. Da un lato i personaggi sono versioni “potenziate” degli esseri umani, sono dotati di vizi e/o virtù umane, ma portate a un livello superiore. Quando un personaggio agisce deve sempre farlo al livello massimo delle sue potenzialità, anche un personaggio pigro non sarà un po’ pigro, sarà straordinariamente pigro. Dall’altro lato bisogna considerare che tutti gli esseri umani (per non dire tutti gli esseri viventi) sono tendenzialmente “conservativi”. Questo significa che nessun personaggio partirà subito intraprendendo l’azione più estrema per risolvere un conflitto, cercherà la soluzione che comporta il minimo sforzo.
Prendiamo come esempio Rambo (parlo del film originale del 1982). La sua prima reazione quando lo sceriffo gli impedisce di entrare in città non è distruggere tutto, massacrare, bruciare e tutte le altre cose che fa alla fine del film. La sua prima reazione è quasi una non reazione, si limita a ritornare indietro verso la città, poi viene arrestato e picchiato, ma anche qui la sua reazione è la fuga, vuole solo essere lasciato in pace. È solo quando è braccato e non gli lasciano scampo che reagisce e contrattacca.
Questa naturale tendenza a cavarsela con il minimo sforzo aiuta gli autori a creare un’escalation, aumentando di volta in volta la posta in gioco e le reazioni del protagonista. Ogni azione provocherà delle conseguenze che quasi certamente non saranno quelle sperate dal personaggio, questo andrà a creare una nuova situazione di conflitto che lo spingerà ad intraprendere un’altra azione, poi un’altra e così via fino al climax e alla risoluzione della storia.
Stabilire che le azioni dei personaggi devono avere delle motivazioni non è però sufficiente. È necessario che le vicende narrate seguano una catena di cause ed effetti. Tutti gli eventi devono essere collegati strettamente fra loro e tutti gli eventi mostrati devono essere essenziali per il racconto: o fanno andare avanti la trama o dicono qualcosa di importante sul protagonista, meglio ancora se fanno entrambe le cose.
Si deve quindi creare una catena di eventi inanellati strettamente fra loro, ognuno la naturale conseguenza di quelli che l’hanno preceduto.
Alcuni autori partono dalla fine e creano a ritroso la catena di eventi fino all’inizio per essere certi che la storia non si perda in direzioni impreviste e che ogni accadimento sia strettamente collegato ai precedenti. Ma forse la maniera migliore per procedere è concentrarsi sul protagonista, la storia deve discendere naturalmente da come agisce, dalle scelte che compie, da chi è. Imporre una scaletta precisa a dei personaggi pensati successivamente fa sembrare la cosa meccanica e toglie naturalezza alla vicenda.
Ma tutto ciò è solo una mia paranoia? Anche se tutto ciò che ho scritto è un condensato di alcuni manuali di scrittura, forse sono solo io a considerare fondamentale il perché delle azioni. O forse no, e per dimostrarlo mi piace citare “Idiocracy”, un film del 2006 che mostra un futuro dominato dall’idiozia. L’intelligenza è in declino e il mondo tira avanti come può, rabberciando gli avanzi della civiltà precedente. Un uomo e una donna, ibernati nel 2006 si risvegliano in questo mondo, ritrovandosi a essere le persone più intelligenti in circolazione e riescono a salvare l’umanità dalla carestia. In questo mondo folle lo spettacolo preferito dalla gente sono dei film in cui si vedono persone che ruttano e scoreggiano. Alla fine della storia il protagonista, dopo aver salvato il mondo farà un discorso illuminato e illuminante prospettando alla popolazione una società dove l’intelligenza torna a essere importante e in un passaggio dice qualcosa di questo tipo (cito a memoria): “Non solo vedrete film in cui persone ruttano e scoreggiano, ma scoprirete anche perché lo fanno”.
Non siamo ancora a quel livello, ma siamo già a un livello in cui troppo spesso al cinema (e sempre più spesso nei libri) la cosa importante è far succedere qualcosa (al cinema meglio se qualcosa di spettacolare, nei libri meglio se qualcosa di deprimente), senza che gli autori sentano la necessità di inanellare gli eventi in una catena di cause ed effetti.
Ciao Libero, questo articolo è illuminante: creare un personaggio ma non abbandonarlo. Spesso chi scrive corre per afferrare la “trama” tralasciando, o dimenticando, alcuni dettagli importantissimi. Dettagli che nella costruzione di un personaggio possono fare la differenza in un racconto.
Da quello che ho capito io dal tuo articolo è che i personaggi non devono essere dei semplici fantocci ma devono prendere vita, diventare verosimili nonostante in letteratura sia possibile far parlare conigli e strane creature.
🙂 Mimma
Esatto. Trama e personaggi devono andare di pari passo. Se si appiccia la trama a un personaggio si ottiene un manichino animato a cui far accadere delle cose. Se invece le azioni sono guidate dal personaggio, dalla sua interiorità, dal suo modo di essere, il tutto diventa coerente. I veri problemi di verosimiglianza non sono i conigli che parlano, ma i personaggi che vengono mossi da un burattinaio che lascia i fili visibili.