Cinque Leghe

Cinque Leghe

«Quella roba mi serve. Non me ne frega un cazzo di cosa devo fare per procurarmela, ma riuscirò ad averla, con o senza il tuo aiuto.»
«Zitto e calmati adesso. Questo non è il posto giusto.»
Pochi avventori sedevano ai tavolini. Con lo sguardo triste sorseggiavano vino scadente o birra da pochi soldi tentando di farla durare il più possibile. La poca vernice rimasta sulle pareti scrostate del bar suggeriva un tempo in cui doveva essere stato un locale di classe.
«Dove andiamo?»
«Fuori. Camminiamo un po’.»
La brezza autunnale spazzava le strade facendo turbinare foglie e cartacce in una danza scomposta e quasi oscena. I pochi lampioni intatti facevano del loro meglio per rischiarare la via, aiutati dalle lettere S U R M K T, pencolanti dall’insegna tremolante di un negozio. Lanciarono uno sguardo all’interno: uomini e donne vagavano fra gli scaffali semivuoti contando con cura le poche monete che tenevano fra le mani, stirando la matematica nello sforzo impossibile di farsi bastare il denaro.
L’uomo si guardò attorno con sospetto, ma le poche persone ancora per strada si affrettavano a capo chino, perse nei loro pensieri. Camminarono in silenzio per un po’, fissando i propri piedi e cercando di evitare le buche nell’asfalto sconnesso.
«Allora? Mi aiuti sì o no?»
«Prima di tutto non usare mai il mio vero nome. Devi chiamarmi Giovanni, ricordati.»
«Ok, me ne ricorderò.»
«E tu sei Antonio. Questo è il nome che devi usare quando sei con me.»
L’uomo sbuffò. «È proprio necessario?»
«Se vuoi che ti aiuti fai come dico io. Intesi?»
«Va bene, va bene.» Antonio alzò le mani in segno di resa. «Quello che vuoi, purché mi aiuti.»
«Forse posso procurarti un po’ di roba. Ma è gente sospettosa, non si fida di nessuno. Vogliono conoscere il compratore.»
«Non è una mossa furba. Se non si fidano perché non limitarsi a usare un intermediario come te?»
«Non è così semplice. Anche se fanno cose illegali non si considerano dei criminali. Devi pensare a loro come a una specie di setta segreta.»
Antonio lo fissò aggrottando le sopracciglia.
«Senti, è così e basta. Loro la roba te la possono procurare, hanno contatti all’estero. Però non la danno a chiunque, solo a chi gli va a genio. Se la vuoi devi diventare uno di loro.»
«Cazzo, non voglio entrare a far parte di una banda di criminali.»
«Non preoccuparti, non sono terribili come pensi, vedrai.»
Un forte vociare in lingua straniera interruppe la conversazione.
«Attento, siamo quasi al ghetto, giriamo di qua.»
Due gruppi di uomini di pelle scura si fronteggiavano gridando più avanti lungo la strada.
Giovanni scrollò le spalle. «Ormai non riescono più a procurarsi nulla nemmeno loro. E quando ci riescono non la passano di sicuro ai bianchi.»
«Dio come ci siamo ridotti. La purezza della razza. Che merda.» Una lacrima spuntò nell’occhio di Antonio. «Te lo ricordi ancora com’era qualche anno fa? In ufficio con me c’era una ragazza marocchina, bellissima. Il suo fidanzato era di razza bianca. È stato uno degli iniziatori delle proteste quando hanno promulgato le prime leggi razziali, era sempre sulle barricate. La polizia gli ha sparato.»
«Hanno iniziato con gli immigrati che ci rubano il lavoro e siamo arrivati a questo.»
Il vento soffiò alcune pagine di giornale fino ai loro piedi. «Eccolo qui.» Antonio ne trattenne una con la punta della scarpa. « —Il duce e il ministro degli interni annunciano con orgoglio le nuove misure anti-immigrazione— Come se qualcuno volesse ancora venire in questo paese di merda.»
«Lascia perdere. Separiamoci adesso. Ti contatterò io quando sarà il momento.» Giovanni si allontanò senza aspettare risposta.
Antonio cambiò strada dirigendosi verso casa. Guardò l’ora e affrettò il passo, doveva passare in farmacia prima che chiudessero.
Il commesso appoggiato al bancone lo accolse con un saluto a mezza voce.
Antonio si avvicinò al banco. «Buonasera. Mi servirebbe qualcosa per l’influenza.» «Per mia moglie» aggiunse quando il commesso lo fissò stringendo gli occhi.
L’uomo prese una scatoletta di pillole e l’appoggiò sul bancone.
Antonio la prese in mano e lesse il nome del preparato. «Ma funziona?» Si sporse sul bancone abbassando la voce. «Non è proprio possibile avere un’asp…»
Un accesso di tosse del commesso coprì le sue parole. Quando si riprese guardò Antonio fisso negli occhi.
«Questo preparato omeopatico ha un’efficacia garantita. È il migliore sul mercato e può anche usare la sua tessera sanitaria.»
Antonio posò la tessera sul bancone assieme a una banconota da un milione di Lire. Il commesso passò la tessera nello scanner e gliela restituì, prese i soldi, li osservò con cura prima di metterli in cassa e mise il resto sul bancone.
Antonio prese la medicina e il resto e uscì salutando con un cenno del capo.
L’aria fredda lo fece rabbrividire. Si strinse nell’impermeabile sgualcito e corse a casa.
Aprì il portoncino del condominio e si avviò verso le scale. Incrociò alcuni bambini che scendevano a precipizio. «Buonasera signor Marelli.»
«Ciao ragazzi. Che fate con quelle mascherine? Paura dell’influenza?»
I bambini si guardarono fra loro ridacchiando e dandosi di gomito. Finalmente uno di loro si decise a rispondere. «Nessuna influenza. È per le scie chimiche. Ce l’hanno insegnato a scuola. Non lo sa che c’è un complotto per controllare le persone attraverso le scie chimiche? Hanno distribuito a tutti i bambini una mascherina da indossare quando si esce.»
«Oh, non lo sapevo. Scusatemi.»
«Che ha signor Marelli? Perché piange?»
«Non è niente, non sto piangendo. È solo un po’ di allergia. Scusatemi.»
Antonio salì le scale quasi di corsa, entrò in casa e chiuse la porta appoggiandovisi contro.
«Amore? Sei tu?»
«Sì. Arrivo.» Si tolse le scarpe e appese l’impermeabile nell’attaccapanni all’ingresso.
Senza far rumore entrò in camera della figlia. Sua moglie gli sorrise continuando a far oscillare la culla in cui dormiva la loro bambina.
L’espressione di sua moglie cambiò quando vide la sua faccia. «Che hai? È successo qualcosa?»
«No, no. Sono solo stanco. Va tutto bene.» Si avvicinò alla culla e non riuscì a impedirsi di sorridere. Era una bambina meravigliosa. Moriva dalla voglia di stringerla fra le braccia, ma non la voleva svegliare.
Strinse una mano di sua moglie e assieme uscirono dalla stanza della figlia.

Il piano della scrivania iniziò a vibrare. Gettò uno sguardo al cellulare; aprì il messaggio e lesse: “Birra questa sera alle 8, bar Duomo, non mancare.”
Antonio cancellò il messaggio poi chiamò la moglie per avvertirla che non sarebbe tornato a cena. Qualche minuto prima delle otto arrivò davanti al bar Duomo e lo trovò invaso da numerosi ragazzi con le teste rasate e giubbotti con svastiche e doppie esse.
«Che razza di posto», borbottò fra sé.
Nel locale era stato montato un palco e alcuni energumeni con chitarre e batterie erano intenti a emettere suoni laceranti in quello che dovevano considerare un qualche tipo di sound check.
Cercò di farsi largo fra la folla e finalmente individuò Giovanni seduto a un tavolino vicino al palco. Giovanni lo salutò con entusiasmo e gli fece cenno di sedersi.
«Abbiamo scelto la serata giusta, questi ragazzi sono bravissimi: sentirai.»
Antonio non rispose e si limitò a fare un cenno al cameriere per farsi portare una birra.
Giovanni appoggiò il cellulare sul tavolo e fece capire ad Antonio che doveva fare la stessa cosa.
Il gruppo iniziò a suonare e come se fosse un segnale convenuto Giovanni si alzò tirando Antonio per un braccio, lasciando il posto a due uomini che si sedettero immediatamente. Il frastuono rendeva impossibile la conversazione e Giovanni trascinò Antonio fuori dal locale facendogli segno di lasciare lì il telefono.
«Il cellulare mi serve. Non posso lasciarlo lì. E se quei due me lo fregano?»
«Tranquillo, quei due sono amici. Non lo sai che il telefonino è il modo migliore per spiarci? Con quello addosso siamo controllati ogni momento, possono sapere dove siamo e anche cosa diciamo. Non gli ci vuole niente per attivare il microfono e perfino la telecamera.»
«E adesso cosa facciamo?»
«Andiamo a incontrare delle persone. Se qualcuno dovesse controllare in nostri cellulari vedranno che siamo dentro un locale e con il casino che fanno quelle teste di cazzo non si stupiranno di non sentire le nostre voci.»
«Non pensi di essere un po’ paranoico?»
«Sei tu che sei troppo ingenuo. Ma in ogni caso i nostri amici pretendono prudenza e dettano loro le regole.»
Si erano avviati verso il confine invisibile, ma non per questo meno tangibile, fra la zona ariana della città e il ghetto di ebrei ed extracomunitari.
Giovanni seguiva un percorso complicato, ricco di svolte e deviazioni, infilandosi in vicoli bui e deserti.
All’improvviso si fermò davanti a un portoncino quasi invisibile, incastrato in muro di sassi. Bussò una sequenza complicata di colpi e pause e attese. Il portoncino si aprì, Giovanni aspettò mezzo minuto, poi entrò tirandosi dietro Antonio. Si ritrovarono un un cortile interno privo di illuminazione. Giovanni prese Antonio per mano e camminarono rasenti al muro finché non arrivarono a un altro portoncino dove ripeté la stessa sequenza di colpi. Sentirono una chiave girare nella toppa e il portoncino si aprì, lasciando intravvedere un corridoio fiocamente illuminato. Un uomo li squadrò con attenzione, poi si fece da parte facendo segno di passare.
Attraversarono il corridoio, aprirono la porta sul fondo e si ritrovarono in un ampio stanzone arredato con divanetti, poltrone e tavolini. Le pareti erano ricoperte di scaffali ingombri di libri. Numerosi uomini e donne erano occupati a leggere e chiacchierare. Un piccolo gruppo era impegnato in un’accesa discussione attorno a una lavagna piena di simboli.
«Chi sono queste persone?» chiese Antonio bisbigliando.
«Criminali. Ognuno di loro rischia la galera per quello che sta facendo qui.» Giovanni gli strizzò l’occhio.
Un uomo, seduto su una poltroncina accanto alla porta leggeva una rivista. Antonio ebbe un tuffo al cuore quando vide il titolo: “Science”.
«Quella è illegale.»
«Esattamente.» Giovanni fece un gesto con la mano. «Guarda lì, un libro di Richard Dawkins, là c’è un romanzo di Stanley Robinson, laggiù un testo di fisica. Tutta roba illegale.»
Un uomo alto, scuro di pelle si avvicinò a tese la mano. «Chiamatemi Cristoforo. Questa sera è il mio turno per accogliere i nuovi arrivati.»
«Questo è il mio amico Antonio, è l’uomo di cui vi ho parlato. È qui per la roba.»
«Capisco. Bene Antonio, che te ne pare di questo posto?»
«È,» Antonio esitò cercando le parole adatte, «molto particolare. Qui dentro ci sono cose che non vedevo più da anni. Riviste e giornali stranieri, libri di scienza e di fantascienza, tutte cose proibite. È fantastico.» Antonio aveva assunto un’aria sognante nel pronunciare le ultime parole.
«Molto bene.» Cristoforo annuì vigorosamente. «Lei sembra la persona adatta a far parte della nostra piccola società segreta. Venga con me.»
L’uomo li guidò attraverso la sala finché non giunsero accanto a un frigorifero. Un uomo sedeva assorto leggendo un giornale francese di un paio di giorni prima.
Cristoforo gli posò una mano su un braccio. «Angelo. Questi sono Antonio e Giovanni. Antonio è qui per la sua bambina.»
Angelo balzò in piedi e strinse loro vigorosamente la mano .
«Molto bene. Nel frigo ho ciò che le serve. Lei è in grado di fare un’iniezione?»
«Mia moglie, lei è capace.»
«Non sarà facile, le sembrerà di fare del male alla bambina, ma se lei è qui è chiaro che sa quello che sta facendo.»
L’uomo aprì il frigorifero e ne trasse una boccettina che consegnò ad Antonio. «Faccia attenzione, strappi l’etichetta così se la trovano avranno dei sospetti, ma almeno impiegheranno del tempo per esserne sicuri.»Presa una piccola borsa frigo in cui infilò una busta trasparente con del ghiaccio.
«La metta qui dentro, si conserverà finché non arriva a casa.»
Antonio ringraziò, aprì la borsa e vi infilò la boccetta. Con le unghie strappò l’etichetta, non prima di averne letto la scritta che diceva: “Hexav – hexavalent vaccine.”



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