le porte

le porte

Fui io il primo ad accorgermi della sua scomparsa. Conoscendolo intimamente sono certo che abbia inscenato tutto per potersene andare da una vita che iniziava a considerare insopportabile e ritrovare quella libertà che aveva barattato in cambio del successo, anche se ammetto che dopo tutti questi anni senza alcun segno da parte sua ho ormai perso le speranze di rivederlo.

Fin da piccolo aveva sempre amato disegnare, portava con se ovunque andasse una matita e un libriccino su cui tracciava, quando non aveva a disposizione supporti più adatti, schizzi veloci o elaborati e minuziosi disegni di una complessità rara in un bambino della sua età.

Non ricordava quando avesse iniziato a disegnare porte. Non ricordava nemmeno il perché. Sapeva solo che ad un certo punto le porte avevano iniziato ad affascinarlo. Disegnava porte aperte, chiuse, appena socchiuse che permettevano di sbirciare oltre, ma senza rivelare troppo di ciò che si trovava al di la, disegnava porte di qualsiasi genere. Dapprincipio le porte avevano assorbito completamente la sua attenzione, poi un po’ alla volta aveva compreso che le porte erano significative per ciò che racchiudevano, per quello che stava oltre ed erano diventate così una specie di cornice che delimitava ciò che la sua fantasia gli suggeriva di ritrarre.
Il suo talento nel disegno era indiscutibile, così, pur senza aver compiuto studi regolari nel campo, si ritrovò ad essere considerato un’artista  emergente e le porte che delimitavano e caratterizzavano ogni sua opera erano diventate una cifra stilistica e non più la bizzarria di un ragazzino.
Uno dei primi a credere nelle sue potenzialità fu un famoso scrittore che dopo aver visto alcuni dei suoi quadri lo chiamò per un ritratto. Il dipinto eseguito con notevole maestria ritraeva lo scrittore seduto ad una poltrona del suo studio, il tutto ovviamente visto attraverso una porta spalancata che simboleggiava, sia nelle intenzioni dell’artista che dello scrittore, disponibilità al dialogo e apertura al mondo.
Dopo questa prima opera gliene vennero commissionate  molte altre, paesaggi, ritratti, scene di fantasia, tutte inquadrate attraverso una porta e divenne in breve tempo uno degli artisti più quotati della sua generazione. Dotato di un fisico atletico e di un aspetto piacevole, grazie alla sua simpatia e predisposizione ai contatti era sempre al centro dell’attenzione ovunque andasse. Dal momento in cui i suoi guadagni avevano iniziato ad essere consistenti aveva preso a vestirsi in modo ricercato, elegante e con molto gusto aggiungendo ulteriore fascino alla sua persona. Raggiunta una notevole fama poteva considerarsi un uomo fortunato, acquistò una bella villa, iniziò a fare una vita sociale frenetica, frequentava feste, occasioni mondane, conobbe ragazze e donne che se lo contendevano continuamente. Tutto era perfetto, la sua carriera pareva inarrestabile, un’ascesa continua verso i vertici del successo, galleristi di tutto il mondo ospitavano i suoi quadri che alle aste venivano battuti a quotazioni altissime.

Improvvisamente la sua fissazione per le porte giunse ad un ulteriore stadio. Iniziò a dipingere ossessivamente sempre la stessa scena, una porta con degli stipiti in pietra decorati con bizzarri geroglifici, complicate volute, spirali e simboli che potevano provenire solo dall’immaginazione di una mente malata. Il paesaggio che si intravvedeva attraverso la porta era una scena confusa, un terreno brullo costellato di massi, rupi scoscese e quello che pareva un grande vulcano all’orizzonte. Nella pianura desolata si ergevano tre figure inquietanti dalle goffe sagome appena distinguibili. Tutti gli amici lo esortarono ad abbandonare quella follia, nessuno avrebbe mai pagato nulla per tenersi in casa dei quadri tanto orribili, dipinti con colori così malsani che colpivano l’animo rendendolo triste e cupo, ma lui non ascoltava nessuno e proseguiva aggiungendo un dettaglio ogni volta, chiarificando qualche punto, modificando qualche tono.
La casa in breve tempo di riempì di svariate versioni successive dello stesso quadro, sempre più dettagliate e allo stesso tempo sempre più inquietanti.
Nelle versioni più recenti cercava ossessivamente di rendere in modo iperrealistico gli stipiti in pietra, voleva che sembrassero veri, ne modificava la prospettiva provando punti di vista diversi, provava toni e ombreggiature finché non trovava un risultato che lo soddisfacesse, aggiungeva dettagli alle barocche e mostruose decorazioni, a volte simboli incomprensibili, altre volte piccole figure che ricordavano le immagini di Hieronymus Bosch. Anche le tre figure nel centro della scena acquistavano via via definizione, si trattava di mostri deformi, giganteschi esseri dagli arti tozzi, la testa priva di collo con un enorme bocca e occhi che sembravano vagare in cerca di qualcosa.

C’era qualcosa di morbosamente affascinante in questi tre mostri che ad ogni copia successiva del quadro acquistavano sostanza, cambiavano leggermente posizione, divenivano sempre più veri pur mantenendo un aspetto impossibile e folle,  ma la cosa più inquietante erano gli occhi; via via che il quadro diveniva più completo e dettagliato gli occhi dei mostri si volgevano sempre con maggior precisione verso la porta, finché nell’ultima versione che mi mostrò prima della sua scomparsa provai la netta impressione che mi stessero osservando.

Un paio di giorni dopo tornai da lui, ma non trovando nessuno in casa me ne andai con l’intenzione di ritornare successivamente. Stavo uscendo dal cancello della sua villa quando l’occhio mi corse alle ampie vetrate del suo studio e notai come tutto fosse fuori posto, i mobili spaccati e rovesciati, tubetti di colore calpestati, macchie di pittura su ogni cosa. Provai ad aprire la porta finestra, ma anche quella era chiusa. Temendo che fosse successo qualcosa, forse ladri che cercavano qualche tela da rivendere, entrai da una finestra che trovai aperta e mi diressi subito allo studio. La porta però era chiusa e mi accorsi che la chiave era sulla toppa all’interno della stanza. Forzai la porta temendo il peggio, rimasi così sconvolto dalla confusione e distruzione che trovai all’interno da non prestare subito attenzione al quadro che ancora sul cavalletto campeggiava nel centro della stanza.

Aveva superato se stesso e qualunque altro pittore al mondo. Solo lui era riuscito a dipingere un quadro evidentemente frutto di fantasia rendendolo talmente realistico che si sarebbe creduto di potervi entrare. La porta dagli stipiti in pietra era così dettagliata e perfettamente dipinta da dare l’impressione di essere  vera, tanto che dovetti passare la mano sulla superficie piatta del quadro per sincerarmi della sua inconsistenza. Per un attimo avevo creduto che avesse realizzato dei veri stipiti in pietra e li avesse appoggiati sopra il quadro, ma non era così, era piuttosto riuscito a creare la perfetta illusione della realtà. Guardai il resto del quadro cercando i tre mostri e mi preparai mentalmente all’impatto di occhi ancora più terribili, immaginando di trovarli rivolti verso la porta, pronti a scrutare la mente e l’animo di chiunque osasse incrociare il loro sguardo.

Con sorpresa vidi che le tre figure erano invece riunite attorno ai resti di un macabro banchetto, una di loro teneva in mano una testa strappata dal corpo, osservando con maggior attenzione notai che i lineamenti stravolti del viso erano quelli del pittore che aveva evidentemente deciso di inserire nella scena del suo ultimo quadro un suo terribile autoritratto. Coprii il quadro con un telo che trovai da qualche parte e me lo portai a casa. Ancor oggi è nella mia soffitta coperto da un telo che non ho mai sollevato non avendo più osato guardare la scena dell’orribile banchetto.

 



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