Storie dei suoi racconti. La fantascienza per tutti
Lo so, sono un incontentabile. Sono un lettore accanito e appassionato, ma ho i miei gusti e, ahimè, le mie opinioni personali, molto spesso in controtendenza con…beh quasi tutti.
Anche questa volta temo di essere l’unico a non osannare Ted Chiang e i suoi racconti. Non parlerò del film Arrival, non l’ho ancora visto, mi interessa invece disquisire sul racconto da cui è tratto e sugli altri racconti inseriti nella raccolta “Storie della tua vita”.
Ted Chiang scrive molto bene, i suoi racconti sono piacevoli da leggere, ben strutturati, scorrevoli, insomma sono “carini”. Sono fantascienza per tutti. In realtà per alcuni di loro il termine fantascienza non è poi così corretto, meglio forse adottare il termine anglosassone più generico speculative fiction.
Le definizioni di fantascienza sono praticamente infinite e ogni autore cerca a suo modo di definire e ridefinire il suo genere preferito. Per quanto mi riguarda, nella fantascienza, amo la storie che mi sorprendono e mi coinvolgono a livello mentale più che emotivo. Meglio se ci sono entrambe le componenti.
È normale che un autore riprenda temi già affrontati da altri autori e crei qualcosa di nuovo e personale
Ecco, il problema dei racconti di Chiang, per me, è tutto qui; più che racconti coinvolgenti per le idee sono racconti coinvolgenti per le emozioni. Niente di male in questo, ma trovo che il livello “mentale” sia decisamente sottotono.
Le idee ci sono, ma sono in secondo piano e non sono così innovative e dirompenti come molti le descrivono.
Quasi tutti i suoi racconti mi hanno lasciato sempre una sensazione di già sentito. Molti autori riprendono temi già affrontati da altri per creare qualcosa di nuovo e personale, ma in questi racconti la sensazione è che Chiang abbia sfiorato superficialmente le tematiche che altri autori hanno approfondito. Sembra quasi che lui le abbia prese come scusa per raccontare altro. Lo sa fare molto bene, su questo non discuto, ma le sue storie sono poco incisive; sono coinvolgenti, ma lasciano troppe perplessità, troppi dubbi, troppe cose non spiegate, peggio ancora, non affrontate nemmeno dall’autore.
Il primo racconto della raccolta Torre di Babilonia ha molti punti di contatto con il racconto di Arthur C. Clarke Il muro delle tenebre (The wall of darkness). Chiang ci racconta della Torre di Babilonia e della sua costruzione durata per generazioni, arrivata fino a toccare il cielo e oltre. Clarke ci racconta di un altissimo muro nero, per salire il quale viene costruita un impalcatura che richiede anni e anni di lavoro.
Nel racconto di Chiang gli uomini iniziano a scavare nel cielo, finché uno di loro a forza di salire nei cunicoli bui del cielo sbuca in un nuovo mondo. Salvo poi scoprire di essere sbucato invece dal terreno del suo stesso mondo. In quello Clarke invece un uomo giunge in cima al muro, si allontana dal bordo in linea retta nel buio quasi assoluto finché non arriva all’altro bordo, salvo poi scoprire che il bordo è lo stesso da cui era partito. Clarke fa spiegare a uno dei personaggi che il muro è simile a un Nastro di Möbius, una superficie con una sola faccia.
Capire affronta il tema dell’intelligenza aumentata tramite un’operazione al cervello. Bisogna dire che prende una strada molto diversa da Fiori per Algernon, ma il tema di fondo è lo stesso.
Il racconto Storia della tua vita, quello da cui è stato tratto il film Arrival racconta due storie che si intrecciano. La prima narra dell’incontro di una linguista con degli alieni e del tentativo di comprendere il loro linguaggio. La seconda storia è una lettera che la linguista scrive alla figlia. È però una lettera molto particolare, è una lettera in cui la linguista racconta alla figlia come sarà la sua vita futura, fino alla sua morte in un incidente. Gli alieni non percepiscono il tempo linearmente, ma lo percepiscono tutto contemporaneamente. Per loro non ci sono passato e futuro, vedono tutto il tempo e il loro linguaggio scritto ne è una rappresentazione. La linguista arriva ad apprendere il linguaggio degli alieni, ma così facendo acquisisce anche la capacità di vedere il futuro, viene così a sapere del proprio divorzio, della nascita della figlia e della sua morte.
La storia è bellissima e commovente. Emotivamente tocca dei tasti molto profondi. L’idea di una madre che conosce il triste destino della propria figlia, ma che nonostante tutto non tenta nemmeno di cambiarlo perché sa che non è possibile, è profondamente toccante. Ciò che ha visto infatti non è una previsione del futuro, ma ciò che effettivamente accadrà, qualcosa di immutabile, esattamente come il passato.
(Piccola nota: da quanto ho capito del film questa idea nel film scompare, la linguista diventa in grado di modificare il futuro, anche se non potrà comunque salvare la figlia. Se questo è vero il film butta alle ortiche l’idea portante del racconto, lo scoprirò quando vedrò il film; se anch’io fossi in grado di vedere il futuro potrei dirvelo anche subito)
L’idea di alieni in grado di percepire il tempo nella sua globalità è intrigante, anche se non nuova, ne aveva già parlato Vonnegut in Mattatoio numero 5. A differenza della protagonista di Storia della tua vita però, Billy Pilgrim in Mattatoio numero 5 non acquisisce dai Tralfamadoriani la facoltà di vedere tutto il tempo, semplicemente subisce alcuni salti temporali, si ritrova in alcuni momenti diversi della sua vita, continua però a percepire il tempo linearmente.
Ipotizzare che la mente umana possa cambiare così radicalmente (e magicamente (!)) da avere una percezione del tempo totalmente diversa è un’idea forte, coinvolgente, ma forse eccessiva. Inoltre trovo poco interessante il fatto che la linguista riesca comunque a ritornare alla percezione normale quando vuole e che riesca a comunicare la sua visione del futuro in una lettera. Troverei più intrigante l’idea di un’incapacità di riportare ciò che ha visto in un linguaggio lineare, imprigionare la protagonista in due universi incomunicabili, ma sarebbe crollato il presupposto per la parte di racconto emotivamente coinvolgente (L’unica davvero coinvolgente in effetti).
L’idea che il linguaggio possa modificare le strutture mentali e la percezione della realtà non è certo nuova, quella del racconto è un’estremizzazione dell’ipotesi di Sapir-Whorf, secondo cui il linguaggio plasma la mente e il pensiero, ma diventa decisamente eccessiva nella pretesa di un cambiamento così profondo.
Il tema del linguaggio è stato affrontato a più riprese da molti autori di fantascienza, ad esempio da Neal Stephenson, che in Snow Crash descrive il linguaggio come una specie di virus, simile ai virus software. Anche China Mieville affronta un tema simile in Embassytown, una storia in cui la comunicazione con gli alieni è il centro della vicenda. In entrambi i casi si tratta di romanzi, non di racconti, per cui gli autori hanno avuto più spazio per approfondire il tema rispetto a Chiang, con risultati a mio parere più interessanti.
La mia impressione è che i racconti di Chiang siano fantascienza per chi non ha mai letto fantascienza. Molto ben scritti (lo ribadisco continuamente perché è la verità), empaticamente coinvolgenti, ma per nulla sconvolgenti.
Il linguaggio fa da spina portante di molti dei racconti della raccolta: in Capire il linguaggio diventa un’arma nel combattimento fra due umani “aumentati”; in Divisione per zero è il linguaggio matematico a provocare un crollo psichico; in Settantadue lettere la magia delle parole permette di animare creature di creta, dei Golem di ebraica memoria.
L’evoluzione della scienza umana affronta il problema dell’incomprensibilità fra umani e post-umani. Il piacere di ciò che vedi: un documentario esplora il linguaggio non verbale e inconscio, immaginando un sistema per modificare la percezione umana per aiutare a non subire il pregiudizio della bellezza.
Il racconto più interessante è forse L’inferno è l’assenza di Dio, in cui angeli terribili che sembrano usciti da un anime portano allo stesso tempo disgrazie e miracoli sulla terra provocando sconvolgimenti nella vita delle persone. Mi ricorda qualcosa, forse gli angeli de Il cannocchiale d’ambra di Philip Pullman, forse qualcos’altro, ma ho in mente degli angeli terribili come quelli descritti nel racconto. Comunque sia è un’ottima storia.
Il piacere di ciò che vedi: un documentario invece mi ricorda Le lenti del potere A. E. Van Vogt
Ora, tutti i racconti sono ben scritti, tutti sono piacevoli, tutti sono molto più vicini agli aspetti “umani” delle vicende che a quelli prettamente “fantastici”. Non c’è nulla di male in questo, ma la sensazione è che in fondo gli elementi fantastici e fantascientifici rimangano un po’ troppo sullo sfondo. È vero che in qualsiasi storia ciò che ci interessa davvero sono le persone, che ogni storia di questo mondo ha al centro le persone ed è vero che quando non ci sono persone reali ci sono oggetti o animali umanizzati e i personaggi rappresentano comunque aspetti della psiche o dell’animo umano.
In aggiunta credo che, per chi ha un bagaglio di letture fantascientifiche sufficientemente ampio, tutti i racconti diano sempre una sensazione di già letto, già visto, già sentito. Ho avuto la stessa sensazione per ogni singolo racconto della raccolta. Lo stesso Chiang non nasconde di essersi ispirato ad altri, e credo che per qualsiasi opera letteraria o cinematografica sia sempre possibile ritrovare le fonti di ispirazione. Di solito però chi si ispira a qualcosa di precedente cerca in qualche modo di andare oltre, portare le cose a conseguenze più estreme o esplorare aspetti non ancora indagati; nel caso di Chiang invece sembra esserci il desiderio di non spingersi troppo oltre, di non osare; la volontà di non disturbare nessuno.
Chiang ha vinto una miriade di premi ed è uno degli autori più osannati dalla critica, eppure non posso farci nulla: continuo a trovarlo interessante e piacevole, ma mentalmente poco stimolante.