La fantascienza Arriva(l) agli Oscar?
E così, dopo aver criticato il racconto di Chiang Storie della tua vita eccomi a prendermela con il film Arrival di Denis Villeneuve che è tratto da quel racconto.
Essendo io un incontentabile temo che anche questa volta la recensione sarà in controtendenza.
La storia del film si distacca dal racconto in alcuni punti, ahimè fondamentali. Dico subito che non è un brutto film, siamo a livelli totalmente diversi rispetto alle troppe cose ignobili realizzate recentemente e che fanno venir voglia di farsi una lobotomia direttamente dentro la sala del cinema.
È un film di atmosfere, emozioni e sensazioni; azione ce n’è poca e quella poca che c’è finisce per essere inutile, anzi addirittura controproducente, messa lì solo perché qualcosa deve pur succedere e bisognava inventarsi un modo per far salire la tensione. Peccato che la tensione in un film come questo non c’entri per nulla o per lo meno andrebbe creata con mezzi totalmente diversi.
Spolier Alert
Da qui in poi ci saranno, per forza di cose, degli spoiler, per cui se non avere visto il film tornate dopo averlo visto.
Denis Villenevue è un buon regista, ma usa qualche trucchetto piuttosto banale che avrebbe potuto facilmente risparmiarsi, banalizzando così un film che avrebbe potuto essere interessante.
Il film inizia con una serie di scene che danno l’impressione di essere ricordi; scene in cui si vede una donna con una bambina in alcuni momenti di vita; una vita che finisce tragicamente quando la bambina muore in ospedale in seguito a una malattia non specificata.
Poi si passa dai “ricordi” alla storia e qui entra in campo miss depressione. Ora, essendo miss depressione la donna che c’era nei ricordi si giustifica la sua vitalità pari a quella di un surgelato con il trauma della perdita della figlia. Solo che più avanti nel film si scoprirà che quelli non erano ricordi, ma eventi futuri che devono ancora accadere. A questo punto miss depressione perde di significato e diventa solo un banale trucco registico per spingere gli spettatori a simpatizzare con un’antipatica e per far credere che i ricordi intravisti siano realmente tali. Certo ci possono essere molti motivi perfettamente legittimi per essere antipatici e scostanti, ma qui l’unico motivo è non far sospettare agli spettatori che i ricordi possano essere qualcosa di diverso. La protagonista Louise Banks (Amy Adams) è carina e molto intelligente, ottimi motivi per innamorarsi di lei, ma è talmente depressa e deprimente che avrebbe dovuto togliere qualsiasi voglia al povero Ian Donnelly (Jeremy Renner).
Altra banalizzazione registica è far entrare gli umani nell’astronave aliena camminando a testa in giù.
Quando gli umani entrano nell’astronave c’è una scena in cui si ritrovano a camminare in un lungo tunnel con una gravità artificiale perpendicolare rispetto a quella naturale. In pratica il tunnel è verticale rispetto al terreno, ma loro si muovono camminando come fosse un normale corridoio. C’è una scena piuttosto lunga in cui gli scienziati affrontano lo straniamento di passare ad una gravità orientata diversamente da quella terrestre. Lo si capisce benissimo, ok, afferrato, ma allora perché montare una scena in cui gli umani si muovono a testa in giù? A testa in giù rispetto a cosa? Non al terreno, perché sono in verticale rispetto ad esso, non alla gravità dell’astronave, altrimenti cadrebbero, quindi perché mettere quella scena? Per far vedere che è capace di fare una ripresa con la cinepresa rovesciata? Per battere bene in testa anche allo spettatore assopito che i protagonisti si trovano in un situazione bizzarra? Boh.
Fin qui niente di grave, si tratta di qualche trucchetto banale, come la scena dei militari ammutinati che mettono una bomba nell’astronave aliena. Una scena insensata che non aggiunge nulla alla narrazione, se non qualche “innovativa”(!) inquadratura di un timer con il conto alla rovescia che si avvicina inesorabilmente allo zero.
I veri punti dolenti del film sono quelli in cui sceneggiatore e regista hanno scelto di discostarsi maggiormente dal senso del racconto di Chiang. A un certo punto la protagonista capisce che padroneggiare la scrittura aliena le permette di vedere il futuro. Ecco quindi che in una scena idiota lei vede se stessa nel futuro mentre, con aria perplessa, ascolta un generale cinese che le rivela in segreto la frase che lei gli ha detto nel passato per convincerlo a non lanciare un attacco nucleare.
In una sola scena sono riusciti a far crollare tragicamente il film, introducendo un banalissimo paradosso temporale, senza avere la capacità di gestirlo. Con i paradossi temporali bisogna saperci fare, altrimenti è meglio lasciarli perdere. Se lei ha detto la frase segreta al generale (e deve averla detta, visto che non è stata nuclearizzata) come fa a non saperla nel futuro? Insomma, il futuro si può cambiare e conoscerlo in anticipo permette di modificarlo.
Qui il racconto originale era decisamente superiore. Nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono.
Imparando la scrittura aliena Luise modifica la propria percezione del tempo. Lei non percepisce più il tempo linearmente, ma si avvicina alla percezione aliena del tempo. Per gli alieni il tempo non è qualcosa che scorre, ma tutto è contemporaneo, passato e futuro sono entrambi visibili allo stesso modo. Non si tratta di prevedere qualcosa prima che accada, ma di vedere qualcosa che è accaduto nel futuro. Il futuro non è modificabile, perché ciò che si vede del futuro è esattamente ciò che accadrà/è accaduto, non una visione di qualcosa che si può cambiare. Gli alieni agiscono adeguandosi a ciò che sanno del tempo, compiendo le azioni che sanno di dover compiere perché sanno di averle compiute.
Una buona spiegazione di questa percezione del tempo è quella data da Vonnegut in Mattatoio n5 a cui Chiang si è parzialmente ispirato. Per gli alieni il tempo è come un paesaggio delle montagne rocciose, lo vedono tutto con un solo colpo d’occhio, mentre un terrestre è come qualcuno con un casco in testa dotato di una piccola fessura verticale, questo casco ruota lentamente da sinistra a destra, ciò che l’umano vede dalla fessura è il presente, ciò che ha visto è il passato, ciò che deve ancora vedere è il futuro. Ma per un alieno il tempo è tutto scolpito nella pietra come le montagne rocciose, passato, presente e futuro. Non è possibile cambiarlo, ciò che vede del futuro è esattamente ciò che accadrà.
Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista morirà in un incidente di montagna e Louise non potrà evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile, inesorabile. Mentre nel film il futuro diventa una previsione, più che una veduta. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto, una donna costretta a vivere con la consapevolezza costante della morte futura della figlia, si trasforma in antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione permanente.
Allo stesso modo viene banalizzato il tema del libero arbitrio. Lousie cambia il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro, mentre nel racconto la faccenda è molto più complessa. Ogni essere vivente agisce in base al libero arbitrio, allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro. È una situazione paradossale interessante che nel film si perde completamente.
Altro punto che svilisce la storia è il finalismo delle azioni. Gli alieni vengono sulla Terra per dare qualcosa agli uomini, qualcosa grazie a cui gli umani saranno poi in grado, dopo 3.000 anni, di aiutare a loro volta gli alieni. Insomma tutto viene fatto con uno scopo, mentre nel racconto questo finalismo non c’è affatto. Ognuno si limita a fare la propria parte, perché è ciò che ha scelto di fare e perché è ciò che sa di aver fatto/farà.
Gli Oscar
Miglior film: onestamente non mi è parso un film eccezionale, un buon film, ma sicuramente niente che meriti particolari menzioni. Non basta fare un film in cui gli alieni non sparano per fare un’opera d’arte.
Miglior regia: insomma, mi sembra una regia furba più che artistica. Sicuramene abile, ma niente di eccezionale
Miglior sceneggiatura non originale: non ci siamo proprio. La sceneggiatura manca completamente il bersaglio eliminando le cose più interessanti del racconto originale e tenendo solo la parte più emozionale della storia.
Miglior montaggio: qui è più difficile commentare, alcune scelte di montaggio penalizzano la storia, ma probabilmente erano forzate dalla sceneggiatura.
Miglior scenografia: la scenografia fa un buon lavoro, l’astronave aliena è spartana, all’opposto di ciò che si è abituati a vedere e questo non è certo un male.
Miglior fotografia: la fotografia è molto bella, le luci contribuiscono molto alla riuscita delle atmosfere su cui si basa il film.
Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro: qui non saprei proprio, il sonoro fa il suo lavoro, ma non ho notato picchi di eccellenza particolari, tuttavia è un campo in cui non sono competente per cui mi astengo dal giudizio.
In conclusione direi che è un film che si può guardare, ma il mio voto non va oltre un discreto. Del resto sono un incontentabile, lo so.