Autore: ilcontastorie

Urbe Ferox: Roma post apocalittica

Urbe Ferox: Roma post apocalittica

Disclaimer: L’autore, Simone Volponi, è un amico, tuttavia non mi ha chiesto la recensione, né mi ha inviato il libro. La recensione sarà vera e sincera, dirò ciò che penso, senza trattamenti di favore, tranne quelli che riservo comunque agli autori esordienti o poco noti. 

Il suo corpo e altre feste

Il suo corpo e altre feste

Chissà perché è più facile scovare cosa non ci è piaciuto in un libro (o film o altro) che focalizzarsi su cosa ci è davvero piaciuto. Spesso quello che non piace è qualcosa che stride eccessivamente, un errore nello scorrere degli eventi, una brutta scrittura, 

Vox: un libro senza voce

Vox: un libro senza voce

La recensione di Vox di Christina Dalcher è ripresa da una discussione su libro in questione avvenuta in un gruppo di lettura su un forum qualche tempo fa.

Per questo motivo, a differenza di altre recensioni sul blog in questa saranno presenti moltissimi SPOILER, visto che mi rivolgevo a chi aveva già letto il libro.

Si tratta di un romanzo di “fantascienza distopica”, ma metto la definizione fra virgolette perché in realtà si tratta di ben altro nonostante sia stato accostato, per evidenti motivi commerciali, a Il Racconto dell’Ancella di Margaret Atwood. Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci, i due romanzi non hanno nulla in comune, se non l’idea di una società oppressiva nei confronti delle donne.

Nel romanzo si è appena instaurata una dittatura di stampo religioso cristiano ultra ortodosso. Le donne sono state costrette a rinunciare al lavoro e stare a casa con i figli e viene loro imposto di indossare un braccialetto che permette di pronunciare solo cento parole al giorno, tutte le successive vengono sanzionate da scariche elettriche di potenza crescente.

La protagonista è la moglie di uno scienziato, consigliere scientifico del religioso che ha istituito questa dittatura oppressiva. Lei stessa è una scienziata, una neurologa, appena esclusa da un’importante ricerca con cui stava per trovare una cura contro un tipo di afasia provocata da danni cerebrali.

La donna si ribella a tale situazione oppressiva, aiutata da altri personaggi, decisi a porre fine alla folle dittatura.

La mia opinione riguardo al romanzo, nonostante nel libro vi sia qualche spunto interessante è decisamente negativa e di seguito spiego il perché.

  1.  struttura della storia inconsistente
  2. deus ex machina e coincidenze
  3. inconsistenza e incoerenza dei personaggi
  4. scrittura di bassa qualità
  5. totale incapacità di scrivere scene di azione
  6. dialoghi insensati
  7. E infine il più importante: La trama
  8. … me ne verranno in mente altri

Partiamo dal principio. Il what if iniziale è quello su cui si basa tutta la storia e va accettato senza cavillare troppo altrimenti non ha nemmeno senso proseguire la lettura, però…

L’idea di scrivere un romanzo ambientato in una società distopica per parlare del mondo attuale non è sicuramente nuova, ma è un’idea che funziona e che può essere utilizzata da chiunque, anzi è quasi sempre una buona idea. Nel caso di Vox è evidente l’aggancio con la politica negli USA, l’elezione di Trump e il risveglio di gruppi religiosi ultra ortodossi, è altrettanto evidente il tentativo di agganciarsi al trend commerciale della serie TV tratta dal Racconto dell’ ancella di Margaret Atwood sfornando una versione attualizzata (= con più tecnologia) del libro della Atwood.

L’idea di una società governata da religiosi ultra ortodossi che leggono le loro versioni della Bibbia e vi trovano ciò che vogliono e in particolare “motivazioni” per sottomettere le donne è la stessa del Racconto dell’ancella. Le differenze stanno nelle motivazioni e nelle modalità. Nel libro della Atwood c’è stato un crollo della natalità, per cui le donne fertili sono costrette a diventare concubine degli uomini di classe sociale elevata, allo scopo di dare loro dei figli. È una motivazione forte, ovviamente non giustifica moralmente le scelte di schiavizzare le donne ecc. ma le giustifica narrativamente.

In Vox non c’è una vera motivazione, se non la follia del prete, del dittatore ecc. Non è necessariamente un male, molto spesso si è visto come le dittature si impongano senza reali motivazioni, per cui ci può stare.

Il metodo oppressivo è un po’ balordo. Quante volte dovete ricaricare il cellulare durante la giornata? Con le tecnologie attuali per far funzionare un braccialetto in grado di erogare così tanta corrente da carbonizzare una persona le donne dovrebbero andarsene in giro con una batteria da camion collegata al braccio. Sicuramente si può pensare a un’ambientazione futura con tecnologie più avanzate, ma un avanzamento di questo tipo porterebbe a sconvolgimenti piuttosto pesanti nella società. Ma sorvoliamo,  prendiamolo per buono come parte del what if iniziale… tanto c’è di molto peggio.

Ad esempio, lasciare a casa all’improvviso il 50% (o poco meno) della forza lavoro avrebbe dei contraccolpi tali sull’economia da far crollare il sistema in meno di due settimane. Consideriamo fra l’altro che vi sono donne in posti di responsabilità, non è che le mandi via così su due piedi e dai il loro posto a un coltivatore del  Kentucky e va tutto bene. Ma va  bene, fa parte  del what if ecc. ecc.

Punto 1

La storia non sta in piedi. Inizia in un modo, prosegue in un altro e finisce in un altro ancora. Inizia come un distopico, centrato sulla follia di un sistema repressivo e sulle sue conseguenze sulla società, sulle persone e sugli affetti. Prosegue come un harmony bislacco e termina come un action thriller zoppo. Questo è un caso emblematico di trama scritta senza pensare ai personaggi, una lista di accadimenti da inserire a martellate nel plot senza preoccuparsi di cose futili come la coerenza o la logica (tempo fa avevo scritto un paio di articoli sulla creazione delle trame, qui e qui ). Trame di questo tipo vengono definite event-driven, ma si tratta di un grosso malinteso, trame così sono semplicemente trame mal congegnate.

Punto 2

Deus ex machina e coincidenze. Le cose sono collegate, per cui ne parlo assieme.

Non vi sembra strano che il postino sia anche un’importante figura della resistenza? Proprio il postino che porta la posta a Jean. Non solo, è anche il figlio di una signora a cui Jean avrebbe voluto somministrare il siero sperimentale per guarirla dall’afasia. Ma non è solo un postino, in realtà è un ingegnere che ha scovato il modo di disattivare il braccialetto antiparole della moglie. Guarda te i casi della vita…

Il marito di Jean (ne  parlerò più approfonditamente nel prossimo punto). È il marito di Jean ed è anche il consigliere scientifico del dittatore. Ma non è un seguace del reverendo o un fanatico, no, è un membro della resistenza, un membro fondamentale. Ed è anche lui un biologo ecc. ecc. (questa è l’unica cosa che  ci può stare, si sono conosciuti frequentando lo stesso ambiente, è plausibile).

Il capo della sicurezza è pure lui un membro della resistenza. Capisco che la resistenza sia riuscita a infiltrare persone nei ruoli chiave, ma qui vien fuori che anche il reverendo e il presidente sono membri della resistenza. Le uniche due persone in tutto il libro ad essere contente del nuovo corso delle cose sono: il vicino di casa (almeno finché la moglie non finisce fritta) e lo scienziato ignorante (nuovo capo di Jean).

Lorenzo (focoso amante italiano e scienziato di primissimo piano): anche lui capita fuori quando serve così, perché serviva in quel punto lì (oltre che nel punto G).

Coincidenze immotivate ne saltano fuori altre nel libro, l’amica di Jean ad esempio e molte altre cose che accadono perché serviva che accadessero e basta.

Ah sì, anche la madre di Jean si ammala proprio del problema che Jean ha scoperto come risolvere con il suo siero magico.

Punto 3

Personaggi. Jean è un stronza incapace  di avere rapporti con chiunque. Non ha un rapporto sensato con il figlio maggiore, non ci prova nemmeno, non ha un rapporto con il marito, non ha un  rapporto con i figli di mezzo,  l’unica persona con cui ha  una qualche relazione è la figlia. Ma di lei si è già parlato.

Il marito. Sembra uno stronzo senza palle per tre quarti del libro, poi alla fine è lui l’eroe che  ammazza tutti i cattivi. È ovviamente una delle figure chiave della resistenza, possibile che non riesca mai a far capire alla moglie di non essere così stronzo come si mostra all’esterno? Avrà paura di essere sorvegliato, tutto quello che volete, ma possibile che non trovi il modo di farle capire come la pensa veramente? Lui non ha il braccialetto contaparole, perché non ci pensa lui a saccagnare il figlio di botte fino a fargli uscire dalla testa le stronzate oltranziste?

Lorenzo. Non è neanche un personaggio vero, è solo uno stereotipo vivente, utile per soddisfare i bisogni affettivi e sessuali di Jean. Utilità nella trama? Zero. Spessore?

Altri personaggi minori buttati dentro a casaccio, fra cui le amiche di Jean, tutti privi di senso.

Lo scienziato cattivo è un’altra macchietta, andrebbe bene per una storia umoristica, mi ricorda il direttore di banca di certi libri umoristici inglesi.

Punto 4

La qualità della scrittura è mediocre con punte verso lo scarso. È passato un po’ troppo tempo da quando l’ho letto per essere più preciso, ma ricordo che si tratta di  una scrittura senza punte di originalità che a volte scade nell’incomprensibile.

NB. Ho riletto in lingua originale alcune parti, sono proprio scritte malissimo, non è colpa della traduzione.

Punto 5

Scene d’azione. Mi sono dovuto rileggere più volte le scene d’azione perché non le capivo, non riuscivo a visualizzarle. Mi ritengo un lettore abbastanza esperto e di scene d’azione ne ho lette a valangate, le visualizzo sempre senza problemi, se qualcosa non quadra (a volte succede che un autore sbagli qualcosa) le sistemo un po’ dentro la mia testa, come fossi un regista, finché la sequenza non è a posto. In Vox non ci sono riuscito in almeno un paio di casi. In realtà ora che ci ripenso c’erano anche scene non d’azione che mi risultavano poco chiare.

La prima scena che mi viene in mente fra quelle costruite male è quella in cui uno scimpanzé  aggredisce Jean, poi ce n’è un altra quando iniettano il siero a uno scimpanzé (per quale motivo poi?) e poi si dimenticano che c’è lo scienziato cattivo addormentato nell’altra stanza che ormai si sarà svegliato e tutto quello che segue.

Punto 6

Dialoghi insensati. Il punto più bizzarro è questo. Jean ha appena sparato a Morgan (scienziato cattivo) che è morto e c’è questo dialogo: 

«Dove hai imparato?» chiedo a Lorenzo. Quasi non sento la mia stessa voce.

«Ho fatto due anni nell’esercito, in Italia. Quando c’era ancora la leva obbligatoria.» Poi, in tono più serio: «Mi senti?»

Dove ha imparato cosa? È lei che ha sparato. Lui si è limitato a stare lì sotto la minaccia di una siringa. Ho controllato perfino sull’edizione inglese pensando si trattasse di un errore di traduzione, ma è uguale. Se voi me  la spiegate ve ne sarò grato.

Poi ci sono altre scene sparse in cui non si capisce come siano collegate ai pensieri di Jean o non si capisce chi parla e perché dica certe cose, ma sono troppo pigro per andare a ricercarle. :D

Punto 7

La trama. Inutile analizzarla tutta, segnalo solo alcuni punti particolarmente stupidi.

Lorenzo è un supergenio che deve inventare una molecola in grado di avere l’effetto opposto a quella create per curare dall’afasia di Wernicke, partendo proprio dalla cura e che sia solubile. Lui e solo lui può farcela in pochi giorni e gli mettono a disposizione laboratori attrezzatissimi e tutto quanto. Invece ne crea una non solubile, ma che va iniettata direttamente nel cervello in un posto precisissimo altrimenti è un veleno mortale. ma perché????? (perdonatemi i punti di domanda, ma ci vogliono)

Invece Patrick il marito idiota e senza palle ci riesce benissimo nel tempo libero giocando con il piccolo chimico.

Decidono di iniettare l’anticura a Morgan (scienziato cattivo). Di nuovo, perché????

Improvvisamente riescono ad avere il laboratorio tutto libero per giocare a iniettare cose a Morgan. Come fanno? Il soldatino che fa parte della resistenza riesce da solo a far andare via tutti organizzando una finta bomba e facendo un po’ di fumo. Ma che razza di sistemi di controllo oppressivi hanno?

Patrick e tutta la squadra di rimbambiti vuole far bere il siero per l’afasia a tutti i potenti riuniti alla Casa Bianca. Poi non si capisce bene cosa sia successo perché la scena non viene mostrata, ma solo raccontata per accenni, comunque muoiono tutti. Non era meglio un normalissimo veleno di quelli che si usano da migliaia d’anni invece che stare lì a sbattesi a inventare qualcosa di nuovo che non sai nemmeno se funziona? Qualcuno ha bevuto il veleno silenziatore per provare se funzionava?

Mi ero scordato di parlare del “femminismo” di Vox. Femminismo totalmente assente. Alla fine quello che risolve la situazione a livello nazionale è il marito che uccide con azione eroica e sprezzante del pericolo (come si conviene a un vero maschio) i cattivi. La situazione personale della protagonista la risolvono Lorenzo (amante latino e vero macho), l’agente dei servizi segreti e rivoluzionario (grande e grosso e cattivo), il soldato che li aiuta, il postino-ingegnere.

Aggiungiamo che tutta la vicenda di Jean è totalmente inutile se considerata a livello globale. Non incide affatto sulla storia (intesa come storia da studiare a scuola), il marito uccide i cattivi, ma avrebbe potuto farlo con un normalissimo veleno esistente da migliaia di anni senza impegolarsi a crearne uno nuovo.

La vicenda dal punto di vista dei libri di storia sarebbe così: Dei fanatici religiosi prendono il potere, un uomo (consigliere scientifico del presidente) li avvelena e libera la nazione.

Tutto il resto è vicenda personale. Non è che questo sia necessariamente un male, pensate ai Predatori dell’Arca perduta: è un film quasi perfetto, eppure tutta la vicenda di Indiana Jones è totalmente ininfluente sul risultato finale. Il film inizia con i tedeschi che vogliono l’Arca e finisce con i tedeschi che hanno l’Arca. Ok, poi c’è l’epilogo, ma è per dire che tutto ciò che fanno Indy e amici non cambia di una virgola il risultato finale. Eppure i Predatori è un film bellissimo.

Il problema è che la Dalcher vorrebbe lanciare un messaggio femminista, ma finisce per scrivere un libro in cui le donne non contano assolutamente nulla.

Avrai i miei occhi: fantascienza sotto la “Madunina”

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Blackfish City – La città dell’orca

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Ci sarà un “dopo il coronavirus”?

Ci sarà un “dopo il coronavirus”?

Breve riflessione sulla pandemia con spunti per scrittori e creativi.

Ci sarà un prima e un dopo il Coronavirus (Covid-19)?

Non mi sto chiedendo se l’umanità sopravvivrà alla pandemia di Covid-19, a meno che il virus non muti in modo drastico il suo livello di letalità non è altissimo, per cui l’umanità dovrebbe farcela a superare la crisi.

Ancora non sappiamo come andrà a finire, sul piano individuale nessuno è sicuro di farcela (forse nemmeno chi è già guarito), ma a livello globale la popolazione umana non si ridurrà drasticamente.

Certo resteranno i drammi individuali e familiari, ma nel complesso l’impatto del virus sarà più che altro di tipo economico e sociologico. Con questo non voglio certo mettere in secondo piano l’impatto che il virus ha e avrà su chi ne è colpito e sui familiari delle vittime, sarà una cosa devastante da cui servirà tempo per riprendersi. Ogni vita è importante e ogni morte è una perdita, ma sul piano globale, l’intera umanità non dovrebbe risentirne.

Ciò che realmente mi domando, invece, è se questa pandemia segnerà uno spartiacque, un punto di svolta, oppure no. Passata la paura torneremo alla vita di sempre, oppure ciò che sta accadendo ci avrà insegnato qualcosa, avrà fatto nascere qualche riflessione?

Questa pandemia segnerà un punto di svolta?

Comunque vada, nel complesso possiamo ritenerci fortunati, il coronavirus covid-19 ha un livello di contagiosità calcolato fra R0 2,2 e R0 4 (ogni contagiato, in media contagia da due a quattro persone), e una letalità stimata attorno al 2,5%, anche se in Italia arriva quasi al 10%: significa che è piuttosto contagioso e moderatamente pericoloso. Il potere di contagio, segnato con R0 indica il numero di persone che un malato può contagiare (si tratta ovviamente di una media). La letalità indica il numero di morti sul totale dei contagiati.

Vi sono virus con tassi di letalità molto superiori, la MERS, una malattia provocata da un altro coronavirus e diffusa dai dromedari ha una letalità superiore al 34% o l’Ebola che ha una letalità del 50%.

Vi sono virus con potere di contagio maggiore, il morbillo ad esempio ha un valore R0 fra 9 e 12.

Nel complesso siamo stati fortunati, cosa sarebbe accaduto se quei due valori fossero stati più alti lo potete immaginare leggendo qualche libro di fantascienza catastrofica o guardandovi qualche film sullo stesso argomento. L’ipotesi peggiore è quella di un virus con entrambi quei valori alti. Significherebbe un virus molto contagioso e molto pericoloso, una catastrofe globale.

Covid-19 è una tempesta che non è ancora passata, mieterà altre vittime e creerà altre situazioni di crisi in tutto il mondo.

Ma servirà a metterci in allarme per il futuro?

La globalizzazione è qualcosa che non finirà di colpo, ed è qualcosa con effetti positivi e negativi che non sono mi stati valutati con attenzione e fino alle loro estreme conseguenze.

Qualcuno, dopo la chiusura dettata dall’emergenza di una parte delle fabbriche cinesi, ha iniziato a chiedersi se la delocalizzazione della produzione mondiale, tutta concentrata in un unico paese (la Cina appunto), fosse una cosa saggia. Se la Cina non fosse riuscita a contenere la diffusione del virus a una sola provincia il mondo avrebbe rischiato di restare privo della sua fabbrica di merci a basso costo, ma teniamo presente che la Cina non produce solo cianfrusaglia di poco valore, produce in realtà gran parte dei prodotti tecnologici di alto e altissimo livello che tutti usiamo quotidianamente e che sono alla base della nostra società contemporanea. Ma la Cina produce anche le nostre scarpe, i nostri vestiti, componenti per le industrie e milioni di altri prodotti indispensabili.

Cosa accadrebbe in uno scenario analogo, ma con un virus più aggressivo e letale? Anche se fosse contagiata solo la Cina, l’impatto sul resto del mondo sarebbe enorme.

Improvvisamente ci si è resi conto che in Italia esiste un’unica ditta produttrice di ventilatori polmonari, troppo piccola per far fronte alle necessità dettate dall’emergenza Covid-19. Immagino che vi siano altri paesi occidentali in cui non ce n’è nemmeno una. Inutile scandalizzarsi dicendo che è una cosa indegna di un paese civile (come ho sentito dire da un giornalista in televisione), bisogna invece chiedersi il perché di una situazione di questo tipo. Non credo che gli imprenditori italiani abbiano coscientemente deciso di non produrre determinati apparecchi medicali, se non lo fanno, e se non lo fanno in Italia, significa che non è economicamente conveniente.

E questo significa che qualcosa non funziona nel modello capitalistico che bada solo alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del guadagno.

Qual è la soluzione? Stilare una lista di beni indispensabili di cui si deve avere una produzione minima garantita autoctona? E quant’è il minimo garantito? E la componentistica utilizzata da chi li produce? E le materie prime? E quant’è grande l’area entro cui ci dev’essere tale produzione? I confini nazionali? L’Europa? O invece zone più piccole o magari aree geografiche diverse, da individuare secondo nuovi criteri diversi dai confini nazionali tradizionali?

Non funziona il modello capitalistico che bada solo alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del guadagno.

Il secondo problema che ci si è trovati a fronteggiare, ma in realtà il primo per impatto sociale e per impatto sulla diffusione del virus, non è sicuramente quello della produzione e distribuzione della merci, quanto piuttosto quello degli spostamenti delle persone.

Nel mondo globalizzato moltissime persone si muovono quotidianamente da un luogo all’altro, anche fra posti molto distanti fra loro, fra una nazione e l’altra, fra un continente e l’altro. È una situazione perfetta per favorire la diffusione incontrollata di un virus. È stato così che il virus è arrivato velocemente in Europa dalla Cina ed è così che si è diffuso fra le varie nazioni e i vari continenti.

Come si è visto dall’esperienza cinese e come speriamo venga confermato da quella italiana, il modo più efficace per fermare il virus è fermare gli spostamenti delle persone. Cosa si può cambiare? Impedire gli spostamenti intercontinentali? Ridurli il più possibile? Stabilire che almeno gli incontri di lavoro dovranno avvenire tramite meeting virtuali? È davvero possibile eliminare i contatti personali?

E quando ormai il virus è arrivato in un luogo come possiamo intervenire? Forse segmentare il territorio potrebbe essere una soluzione.

Definire tutto il nord Italia “zona rossa”, chiudere gli spostamenti al di fuori dell’area era una buona idea e sarebbe stata ottima se tutti l’avessero rispettata.

Purtroppo molte persone, troppe persone, appena è circolata la voce di bloccare gli spostamenti da alcune zone d’Italia, si sono precipitate ad allontanarsene senza curarsi minimamente delle disposizioni restrittive e soprattutto dei motivi per cui erano state promulgate.

Non condanno l’istinto di fuggire, condanno però la scelta di dove fuggire.

Se scappo da una pestilenza la scelta migliore è quella di rifugiarmi in una baita isolata in montagna, dove non ci sia nessuno che possa infettarmi e dove io stesso non possa infettare nessuno nel malaugurato caso io sia già ammalato. Certo lo svantaggio di una baita in montagna è l’impossibilità di ricevere aiuto medico nel caso appunto fossi fuggito troppo tardi e stessi portando il virus con me.

Purtroppo invece, la maggior parte di quelli che sono fuggiti hanno scelto di tornare ai loro luoghi d’origine, dove presumibilmente hanno parenti anziani, nonni, genitori, zii, proprio le persone più a rischio con questo tipo di malattia. Questa fuga in massa ha ovviamente contribuito a esportare il virus in zone del paese dove non si erano registrati casi di infezione. Ancor più da condannare sono quelli che hanno scambiato i provvedimenti di chiusura di scuole e uffici, come delle insperate vacanze aggiuntive e si sono precipitati in zone di villeggiatura montane e marittime. Pare che nella sola Sardegna più di tredicimila persone siano arrivate dalle zone infette pensando di farsi una bella vacanza al mare, senza minimamente pensare alle possibili conseguenze del loro gesto. Compresa quella di ritrovarsi ammalati in una regione d’Italia con strutture sanitarie inadeguate a far fronte alla calamità. E la stessa cosa è accaduta in molte altre regioni del sud.

Non condanno l’istinto di fuggire, condanno però la scelta di dove fuggire.

Detto fra parentesi, l’emergenza coronavirus ha messo anche in luce le abissali differenze fra le regioni del nord e molte regioni del sud. Non voglio cercarne o discuterne i motivi, ma forse qualcuno finalmente capirà che tangenti, speculazioni, appalti truccati, tutti i vari modi per rubare soldi allo stato non sono rubare soldi a nessuno, sono rubare possibilità di vita, magari anche a se stessi e ai propri familiari.

Dunque com’è possibile segmentare efficacemente un territorio per impedire la diffusione di un virus?

In Giappone insegnano ai bambini, fin dall’asilo, come comportarsi in caso di terremoto, forse l’intero pianeta dovrebbe fare qualcosa di analogo, insegnare a tutti, fin da bambini, come comportarsi in caso di pandemia.

Ma se l’educazione non basta? Cosa fare se la gente insiste ad andarsene in giro diffondendo il contagio? È pensabile creare delle zone rapidamente isolabili dal resto di un paese? Si creano dei confini permanenti, ma disattivati da attivare in caso di necessità? Si crea una task force apposita, un reparto dell’esercito pronto a intervenire e a creare, all’occorrenza, delle zone di confino dinamiche?

Ma sarebbe in grado una democrazia di continuare a esistere in una situazione di questo tipo? O la tentazione di usare questi metodi anche per bloccare eventuali proteste o manifestazioni di dissenso sarebbe troppo forte?

Ciò che sta accedendo è una specie di prova generale, una prova che non abbiamo superato. Se un giorno arriverà un virus più contagioso e più letale, il disastro che ne seguirà sarà solo colpa nostra se non avremo ripensato il nostro modo di vivere.

Ciò che sta accedendo è una specie di prova generale, una prova che non abbiamo superato.

Le mie sono solo alcune delle molte riflessioni che si potranno e dovranno fare su ciò che sta accadendo, alcune delle molte domande che dovremo porci.

Io non ho risposte a queste domande.

Probabilmente nessuno ha le risposte in questo momento, ma si può e si deve cominciare a immaginare il futuro.

E per farlo, nessuno è più attrezzato degli scrittori di fantascienza. Perché il compito della fantascienza, della “buona” fantascienza, è mettere a nudo i limiti del presente e ipotizzare il futuro. Non saranno gli scrittori a trovare le risposte, ma potranno essere loro a stimolare il dibattito, a far nascere idee a far scoccare in altri la scintilla giusta.

Gli scrittori possono ragionare sul presente e immaginare i futuri, quelli verso cui ci potremo incamminare con speranza e quelli che dovremo assolutamente evitare.

È stato facile, fino ad oggi, immaginare virus letali che hanno portato alla quasi estinzione dell’umanità, ora dobbiamo iniziare a immaginare qualcosa di diverso, immaginare un mondo in grado di rispondere a sfide di questo tipo.

Si può e si deve cominciare a immaginare il futuro, e per farlo, nessuno è più attrezzato degli scrittori di fantascienza.

Ma non sono solo gli scrittori di fantascienza a poter fare qualcosa per aiutare il mondo a capire e ad affrontare la pandemia.

La situazione può fornire spunti anche a scrittori fantasy o di altri generi, ma ancor più a chi desidera restare ancorato al realismo. Non ci sono da raccontare solo gli sforzi eroici di medici e infermieri, si può scrivere anche di chi pedala in una città apparentemente deserta per consegnare cibo o pacchi indispensabili, si può parlare di chi lavora nell’igiene urbana o di chi tiene aperti i servizi fondamentali. Ma si possono anche raccontare le tensioni che si creano fra chi vive la quarantena forzata, o gli amori che rinascono, le scoperte e le riscoperte all’interno dei nuclei familiari.

Come sempre le storie da raccontare sono infinite e, come sempre, alcune di esse potranno rivelarsi fondamentali per consentirci di capire ciò che stiamo vivendo e per consentirci di affrontare le sfide future nel modo migliore.

Le storie da raccontare sono infinite, ma alcune di esse potranno rivelarsi fondamentali per consentirci di capire ciò che stiamo vivendo.


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Ho scelto di utilizzare questo tipo di licenza Creative Commons perché spero che le mie riflessioni possano essere di stimolo anche per altre persone, perché possano prenderne spunto e utilizzarle nei loro lavori.

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Si tratta di un horror, forse, ma se lo è, sicuramente è lontanissimo dal tipico romanzo horror infarcito di episodi raccapriccianti, maniaci omicidi mascherati o mostri di qualsiasi genere.

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L’uomo del censimento: chi mette ordine nel caos?

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Zona 42, editore di fantascienza molto attento alla qualità, traduce e pubblica This census taker di China Mieville con il titolo L’uomo del censimento. Questo è un libro che, sono convinto, polarizzerà i lettori. Non è un libro facile, sia la forma che i contenuti