Il vichingo di viale Roma

Il vichingo di viale Roma

GiovanGuglielmo odia il suo nome. Si è sempre chiesto cosa sarebbe accaduto se entrambi i suoi nonni si fossero chiamati Giovanni. I suoi genitori l’avrebbero chiamato GiovanGiovanni? Un tempo il suo nome era fonte di parecchio dispiacere, ma ora non è più affar suo.

Da quando è diventato vichingo ha deciso di chiamarsi Torsten. La gente attorno non lo sa e continua a chiamarlo con il solito nome, ma questo non gli da alcun fastidio. È cambiato il modo in cui lui pensa a se stesso ed è l’unica cosa davvero importante.

Per un po’ si era messo ad andare in giro vestito rozzamente, con un elmo cornuto e uno scudo di legno, ma c’era sempre qualcuno che gli diceva che era pazzo come un cane lunare. Anche se lo considerava un complimento un po’ alla volta ha capito che certe cose è meglio tenersele per sé e da allora fuori casa veste normalmente. I capelli lunghi e i baffi spioventi erano già più sufficienti per farlo considerare un eccentrico, ma alla fine ha tagliato anche quelli.

Ma non si è trattato di una resa, niente affatto.

La colpa della sua fissazione per i vichinghi si può attribuire con certezza alla visione di troppe serie TV dedicate al popolo nordico unita a una naturale propensione al lasciarsi andare a fantasie e sogni a occhi aperti. Insoddisfatto della propria vita —ma chi non lo è, in fondo?— ha capito che cambiare lavoro, città o anche nazione non avrebbe risolto nulla e ha quindi deciso che doveva muoversi anche temporalmente. Ha scelto la Scandinavia nell’anno 823 ed è in quel luogo e in quel tempo che ora vive.

In realtà continua il suo lavoro come impiegato presso gli uffici comunali, fa la spesa al supermercato, esce con gli amici, va al cinema, ogni tanto si porta una ragazza a casa.

Quest’ultima attività rischiava di terminare bruscamente quando una ragazza con cui era uscito alcune volte l’ha trovato in piedi sul divano, mentre con una spada in pugno si preparava all’arrembaggio di una nave da saccheggiare. Ha dovuto raccontarle di far parte di una compagnia teatrale dilettante e che quello che stava facendo erano solo le prove della sua parte, dopo di che è stato costretto a rompere con lei quando le sue insistenze per assistere allo spettacolo sono diventate insostenibili.

Questo episodio invece di scoraggiarlo gli ha dato la determinazione di compiere il passaggio finale: diventare vichingo a tempo pieno.

Ora non ha più necessità di indossare e dismettere i panni da vichingo, vive pienamente immerso nella sua realtà alternativa, perfettamente sovrapposta a quella che chiameremmo normalità.

Quando lo vediamo fare la spesa lui vede se stesso mentre saccheggia un villaggio di agricoltori e questo aiuta a comprendere una certa rozzezza nel suo mettere i prodotti nel carrello o rovesciarli sul nastro della cassa. Gli amici sono favorevolmente colpiti dall’entusiasmo con cui, in genere il venerdì sera, tracanna diversi boccali di birra scura cantando a squarciagola, anche se la sua nuova predilezione per le risse fa sempre sollevare qualche sopracciglio.

Ma è soprattutto la sua personalità ad aver giovato della sua nuova natura. Colleghi di lavoro e compagni di bevute credono che il suo sia stato un episodio di esaurimento nervoso di breve durata, seguito da un netto miglioramento che lo ha reso addirittura più sicuro di sé, più allegro, meno incline alla depressione.

Ma la verità è che vedere il mondo come un vichingo del IX secolo presenta discreti vantaggi, almeno dal punto di vista psicologico. Le cose gli sembrano più nette, il bene e il male sono più chiari e semplici. Le scelte sono drastiche, definitive, non si fanno compromessi, non c’è tempo per i ripensamenti.

Se davvero il mondo fosse così non ci è dato saperlo, ma è così che lo vede Torsten, pur continuando a mostrarsi al mondo come un GiovanGuglielmo qualsiasi.



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