Esistono storie “event driven”?
Esistono davvero le storie “event driven”?
No
Questa è la risposta breve, quella lunga è un po’ più articolata. Mi è capitato varie volte, in articoli e manuali di scrittura, di leggere la distinzione fra storie “character driven” ed “event driven” (o anche plot driven o action driven).
Di solito si definiscono character driven le storie centrate sui conflitti interiori dei personaggi e event driven quelle centrate sui conflitto contro il mondo esterno.
Questo però apre il campo a un malinteso e cioè che possano esistere storie in cui gli eventi vengono progettati a tavolino e in seguito si trovano dei personaggi a cui cucirli addosso. Purtroppo non sono pochi a pensarla così. Mi sembra quindi utile ritornare su quanto avevo già detto in un precedente post Trame con le tarme e come evitarle.
Ma prima di tutto, per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio vediamo che cosa una storia e cos’è un evento.
Questo è decisamente un evento. È un evento enorme e spettacolare, un evento che può innescare milioni di storie diverse, ma non è una storia. Si può fare una cronaca di un evento così, ma ancora una volta, una cronaca non è una storia.
Questa è una storia.
L’evento è lo stesso, ma qui c’è qualcuno che reagisce all’evento. Questa è una delle infinite storie che posso raccontare, reali o di fantasia, collegate a questo evento. In realtà anche da questo singolo fotogramma posso inventare infinite storie di come si è arrivati a questa situazione e infinite storie di come la situazione si evolverà. Ciò che è importante è che ora non ho più solo eventi che si susseguono, ho persone che reagiscono agli eventi.
Reazione nel caso di una storia non significa necessariamente una reazione attiva, posso raccontare anche la storia di chi subisce un evento, reagisce passivamente, ma quello che ho, nel momento in cui trovo un personaggio, è un punto di vista, ho qualcuno che percepisce, che vede, che sente, che prova sentimenti.
E quindi le storie event driven?
Prendiamo come esempio alcune tipiche storie action driven, e per cominciare andiamo sul sicuro; James Bond. I film di 007 sono certamente un esempio perfetto di questo genere di storia: i conflitti interiori del personaggio non esistono (tranne negli ultimi film in cui si è cercato di umanizzare Bond) e tutto si riduce a una serie di azioni e reazioni. La chiave di tutto è proprio in questi due termini “azione e reazione”. Perché si chiamano film di James Bond e non film di SPECTRE? Perché la Spectre non è una persona, è la minaccia scatenante dell’azione, ma è impersonale, anche se in ogni film viene resa tangibile e umana nelle vesti di uno o più “cattivi”. Il fatto è che al pubblico non interessano le azioni in sé, interessano le reazioni del personaggio.
Bond è un personaggio iconico, conosciuto da tutti. Sappiamo chi è, sappiamo cosa fa, sappiamo come si comporta. Andiamo a vedere un suo film perché vogliamo vedere cosa fa quando è sottoposto a pressione. Ci interessa scoprire come reagirà a una minaccia. A grandi linee lo sappiamo già, Bond è prevedibile perché conosciamo il suo carattere, sappiamo che lotterà, sappiamo che non si darà per vinto. Se Bond scappasse di fronte a una minaccia resteremmo sorpresi, inizieremmo a domandarci il perché del suo comportamento anomalo. – forse sa qualcosa che noi ancora non sappiamo, forse finge solo di fuggire. Ma se lo sceneggiatore facesse fuggire Bond solo perché ha scritto la storia con una scena di fuga e la cuce addosso a Bond, il risultato sarebbe disastroso.
Pensiamo alla serie Die Hard, in particolare i primi film. Certo le esplosioni sono spettacolari, ci sono sparatorie, scene di lotta, inseguimenti, ma alla fine ci interessa John McClane. Vogliamo vedere cosa farà. L’azione non conta nulla se non è in realtà una reazione. Anche le azioni dei “cattivi” diventano interessanti quando non sono più azioni, ma si trasformano a loro volta in reazioni.
L’azione globale, conquistare il mondo, rapinare un’azienda, far esplodere una bomba, servono solo per creare un contesto e un orologio che ticchetta. La vera parte interessante della storia è il confronto, fatto di azione e reazione, fra il buono e il cattivo, ma sarebbe più corretto dire: fatto di reazioni a reazioni, perché ogni azione è in realtà una reazione a qualcosa. Ma una reazione qualsiasi non va bene.
Ogni personaggio deve reagire nel modo giusto per il suo carattere. E ogni carattere reagisce in modo diverso a un’identica situazione. Ecco perché creare una trama a priori da applicare in seguito a un personaggio diventa un’operazione rischiosa.
Passiamo a una storia character driven come può essere il romanzo di Ishiguro “Quel che resta del giorno”. Tutto il romanzo è incentrato sul personaggio del maggiordomo e la storia racconta della sua incapacità di capire la realtà e di confrontarsi con un mondo in cambiamento. È un personaggio terribilmente passivo, non prende mai un’iniziativa, rimane sempre distaccato, un osservatore incapace di osservare.
Eppure, in qualcosa, è identico a Bond e McClane. Anche lui reagisce agli eventi, reagisce secondo il suo carattere e il suo codice di comportamento che lo portano a non fare nulla, ma, come abbiamo visto prima, anche la passività è un modo di reagire.
Le storie funzionano perché i personaggio reagiscono agli eventi in modo che può (a volte dovrebbe) sorprenderci, ma che deve essere sempre giustificato e in linea con quello che il personaggio stesso è o sta diventando.
Non posso prendere una trama e applicarla ai personaggi. Ogni azione dev’essere ciò che quel preciso personaggio farebbe nella situazione in cui si trova.
Mi è capitato spesso in vari gruppi di aspiranti scrittori di sentire qualcuno lamentarsi perché doveva far assolutamente accadere un evento perché la trama potesse snodarsi, ma non riusciva a trovare il modo e il momento giusto e soprattutto non riusciva a far muovere i personaggi nel modo desiderato.
Quando avviene qualcosa del genere il motivo è perché si cerca di inserire a forza nel flusso della storia un evento progettato a tavolino e non qualcosa che nasce dalla naturale interazione dei personaggi fra di loro o come reazione spontanea a un accadimento.
Ancora una volta è importante tenere a mente il fatto che una trama è una serie di reazioni dei personaggi a stimoli esterni (o talvolta interni) e che tali reazioni devono sempre essere correttamente calibrate sul carattere del personaggio, sulla sua essenza e che è sempre fondamentale tenere a mente le motivazioni che guidano ogni personaggio coinvolto.