Il diavolo
Salì le scale fischiettando, un’abitudine più che un’espressione di particolare contentezza. Era uno dei pochi ad usare le scale, quasi tutti preferivano l’ascensore, anche quelli che abitavano ai primi piani.
Si fermò di colpo. Sul pianerottolo, seduto accanto alla sua porta c’era un uomo. O almeno suppose che si trattasse di un uomo. Era più che altro un ammasso di stracci dall’aspetto vagamente umano. Si avvicinò con prudenza alla porta, con il braccio teso e la chiave in mano. Se solo fosse riuscito a entrare in silenzio, avrebbe potuto chiudersi dentro senza dover pensare a quella cosa lì accanto.
Non che fosse particolarmente menefreghista, si dispiaceva ogni giorno per un sacco di cose. C’erano guerre da tante parti nel mondo, persone costrette a scappare dai loro paesi, c’era la crisi, gente senza lavoro, povertà. Cercava sempre di dare qualcosa a chi chiedeva l’elemosina, agli artisti di strada, a chi aveva bisogno. Era membro di un paio di associazioni benefiche, certo il pagamento della tessera non era propriamente uno sforzo terribile, ma c’era chi non faceva nemmeno quello.
Però un mendicante accovacciato davanti alla porta era un’altra faccenda. Sempre che fosse un mendicante. E se fosse stato un rapinatore? O un terrorista? Tutti quegli stracci potevano anche nascondere un estremista islamico pronto a farsi saltare in aria. Perché mai dovesse farsi esplodere davanti a casa sua era un mistero di difficile comprensione, ma quelli hanno un sacco di idee bislacche. O magari voleva farsi esplodere in casa sua. Immaginò la vetrina del soggiorno che volava in pezzi, il divano squarciato, l’imbottitura che ricadeva lentamente in una morbida nevicata. La televisione! Per fortuna gli schermi piatti non esplodono, altrimenti avrebbe aumentato il danno. Si vide seduto con la camicia bruciacchiata, sulle molle del divano in mezzo a quella devastazione a guardare il suo televisore a un sacco di pollici, nessuno si ricorda mai quanti sono i pollici dei televisori, appoggiato sbilenco per terra.
Silenzioso come un Sioux infilò la chiave nella toppa, non osava guardare in basso quella massa informe per paura di risvegliarla con lo sguardo. Si dice che guardare qualcuno significhi attirare la sua attenzione su di se. Allora perché tutte le volte che guardava una bella donna quella non lo notava nemmeno? Doveva essere una cazzata, comunque meglio non rischiare.
Gli stracci si mossero, sembravano pezzi separati che si ricombinavano fra loro in modi nuovi e diversi. Gli ricordarono un cubo di Rubik o meglio ancora i Transformer che aveva visto al cinema. Il risultato fu un uomo, straordinariamente alto e magro. Per averne una visione completa fu costretto a muovere la testa dal basso in alto, dalle scarpe di vernice perfettamente lucide salì ai pantaloni scuri, con una piega elegante e precisa come un’auto tedesca. Ebbe la rapida visione di un operaio, Hans o Helmut probabilmente, che controllava con occhio vigile una linea di produzione robotizzata. Una lamiera veniva inserita in una pressa che, con perfezione micrometrica, piegava il metallo fino a ricavarne un paio di pantaloni. Non sembravano comunque i pantaloni di un mendicante. La giacca, di taglio un po’ superato, elegante ma datata copriva una camicia di seta finemente ricamata.
Con un ultimo sforzo del collo riuscì a guardare l’uomo in viso. Se il resto del corpo era straordinario il viso lo era in egual maniera per il motivo opposto. Era un viso così ordinario che non sarebbe riuscito a ricordarsene nemmeno mentre lo guardava. Come potesse essere finita lassù una faccia così normale era un mistero inspiegabile. Forse quando avevano assemblato il corpo avevano avuto in mente un viso altrettanto bizzarro, ma dovevano aver calcolato male le scorte di magazzino. «Maledizione, il corpo è pronto, non possiamo aspettare, le nuove facce ce le consegnano il mese prossimo.» «Dai, mettiamo su una faccia normale, poi in caso la cambiamo più avanti.» Poi si sa come vanno le cose, se ne sono scordati e quel corpo straordinario si è dovuto accontentare di una faccia normale.
Si riscosse dalle sue fantasie quando si rese conto che il tizio gli aveva rivolto la parola. «Mi scusi. Ha detto qualcosa?»
«Solamente che sono contento che sia finalmente arrivato.»
«Oh, beh, grazie.»
Rimasero un istante in un silenzio imbarazzato.
«Lei è David Miller vero?» chiese l’uomo.
«Ci conosciamo per caso?» rispose, sempre tenendo la mano sulla chiave infilata nella serratura.
«Oh, no. Niente affatto. Mi perdoni se non mi sono presentato. Mi chiamo Ghruppazentstrikkyguntfir, sono stato assegnato a lei.»
Si accorse di avere la bocca spalancata solo quando un moscerino ne approfittò per dare un’occhiata alle sue tonsille.
L’uomo si dondolava lievemente avanti e indietro con l’aria soddisfatta di chi è molto contento del proprio lavoro.
«Non capisco.»
«Oh, certamente. Per fortuna mi hanno detto tutto su di lei ai colloqui formativi. Lei non ha mai letto la Genesi e non ascolta mai le parole dei religiosi. Questo me lo ricordo benissimo. Ma vede,» l’uomo estrasse chissà come un grosso volume dalle tasche della giacca, «qui c’è scritto chiaramente.» Aprì il libro e lo scorse rapidamente, «Mi scusi, credevo di aver messo un segno, è la prima volta che ho un incarico di questo tipo sa?» Finalmente trovò il punto che cercava e lo indicò col dito. «Ecco. Qui dice “Il diavolo è accovacciato davanti alla nostra porta”.»
Rimise via il libro e assunse nuovamente un’espressione tutta soddisfatta. Si riscosse accorgendosi di non essere stato capito fino in fondo. «Il diavolo capisce? Accovacciato davanti alla porta. È il mio incarico. Io sono un diavolo. E sono stato incaricato di essere il diavolo accovacciato davanti alla sua porta.»
«E cosa dovrebbe farci?»
Il diavolo lo guardò un po’ imbarazzato. «Dovrei cercare di entrare, almeno credo. Purtroppo stanno risparmiando parecchio sui corsi di formazione, devo ammettere che sono piuttosto sbrigativi.»
«Beh in questo caso credo che dovrei farla accomodare.» Girò la chiave, aprì la porta ed entrò.
Il diavolo rimase sulla soglia guardando sospettosamente all’interno.
«Non vuole entrare?»
«Si, certamente, grazie.» Titubante, mise un piede oltre la soglia, prese un respiro per farsi coraggio ed entrò.
Miller si tolse la giacca e la gettò sul divano. «Non ha mica intenzione di far esplodere il mio divano vero?»
«Esplodere? Il divano? Assolutamente no, perché mai?»
«No, niente. Era solo un’idea. Beve qualcosa?»
«Molto gentile. Un bicchier d’acqua andrà benissimo, grazie. Purché non sia acqua santa.» il diavolo fece una risatina e lo fissò per studiare la sua reazione.
Miller lo osservò con curiosità.
«Non fa ridere eh? Lo penso anch’io. Sono quei fanatici della formazione che si danno tante arie, sanno tutto di psicologia, loro. Fate questa battuta, dicevano. Serve per rompere il ghiaccio.»
«Non si preoccupi. So come vanno queste cose. Neuro-marketing, PNL, tutto su come convincere i clienti. Ne ho fatti anch’io di questi corsi. Tutte stronzate. La vuole davvero l’acqua?»
«A questo punto preferirei una Coca, se ne ha.»
Miller prese una CocaCola dal frigo e ne versò in due bicchieri. Tornò in soggiorno e tese uno dei bicchieri al diavolo facendogli cenno di accomodarsi sul divano. Si sedette sulla poltrona di fronte a sorseggiare la sua Coca. «E che altro dovrebbe fare ora che è entrato? Mi scusi sa, magari dovrei avere paura o cose simili, ma non sono credente e non sono mai andato in chiesa per cui non so molto dei diavoli.»
«Beh si, in effetti una volta era più semplice. Tutti sapevano un sacco di cose su di noi. Bastava farsi vedere in giro con un paio di corna e tutti quanti si prendevano un bel colpo. Adesso se ti arrischi ad andare in giro con le corna si mettono a ridere. Con tutti quei film e gli effetti speciali la gente non si stupisce più di nulla. Poi ci sono quelli come lei, che non sono nemmeno credenti. Casi difficili, c’è poco da fare con voi.» Scosse la testa.
«Che intende dire?»
«Vede, in teoria io dovrei allontanarla dalla fede e cose del genere. Ma se lei non ha nessuna fede io non ho spazio per agire. Il mio incarico diventa più che altro un pro forma. Come tutti i venditori che la tormentano al telefono per convincerla ad acquistare qualsiasi cosa. Alcuni sanno benissimo che lei non comprerà mai i prodotti che pubblicizzano. Ma è il loro lavoro. Hanno un elenco di numeri da chiamare e lo fanno. Per noi è la stessa cosa.»
«Quindi ora non ha altro da fare?»
«A dire il vero non avrebbe dovuto essere così facile entrare. Il corso di formazione è arrivato solo al punto in cui si entra in casa, il resto ce lo spiegheranno nelle prossime lezioni. Lei avrebbe dovuto fare molta più resistenza, sa?»
«Mi spiace.» rispose Miller mortificato.
«Fa niente, non si abbatta. È colpa della sua gentilezza. Facciamo così. Se lei mi fa una firma qui,» prese dalla tasca un modulo scritto su pergamena con inchiostro rosso, «qui dove c’è lo spazio, accanto alla crocetta. Serve solo per testimoniare che sono entrato, non deve comprare niente. Lei mi fa la firma e io vado. Poi se nelle prossime lezioni saltasse fuori qualcosa di interessante mi premurerò di contattarla. Altrimenti ci salutiamo così. E grazie ancora per la su gentilezza.»
«È sicuro di non dover fare altro? Non so, cercare di impadronirsi della mia anima o cose del genere?»
«Sarebbe tempo sprecato. Le faccio un esempio. Lei ha la macchina?»
«A dire il vero no. Non ne ho bisogno. Preferisco usare la metropolitana o il treno.»
«Perfetto. Allora si immagini che io debba venderle prodotti per la cura dell’automobile. Lei non ha un’auto, non avrebbe alcun senso perdere tempo a cercare di convincerla ad acquistare un prodotto inutile. Con l’anima è la stessa cosa. Lei non crede nell’anima. Quindi non può averne una.» Il diavolo si alzò, si diresse alla porta. «Non ha senso cercare di impadronirsene. Capisce?»
Miller annuì pensieroso.
Il diavolo fece un breve inchino ed uscì.